La ministra del Lavoro Marina Calderone vuole togliere subito dal tavolo la discussione (eventuale) dell’introduzione di un salario minimo: “Non sono convinta che ci si possa arrivare per legge”. Piuttosto, dice, bisogna investire sulla contrattazione collettiva di qualità” aggiunge. Così, mentre i leader delle opposizioni avevano appena chiuso un (quasi miracoloso) accordo per una proposta comune, il governo mette il tema sotto ghiaccio, per non dire sotto terra. Per Calderone “si può sostenere la contrattazione di qualità, anche con percorsi di rinnovo contrattuale attraverso detassazione” e interventi che puntano a favorire “agevolazioni fiscali e contributive. Voglio lavorare molto sulla contrattazione nazionale di secondo livello – ha concluso – per cercare di dare un aiuto concreto al rinnovo dei contratti”. La posizione conferma quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – che ha più volte ribadito il suo no – e infatti viene celebrata dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti.
All’uscita della ministra risponde la segretaria del Pd Elly Schlein: “Vorrei ricordarle che ci sono tre milioni di lavoratrici e lavoratori poveri in Italia e che questo governo non può non capire che sotto una certa soglia non si può parlare di lavoro ma è sfruttamento”. E a Calderone che cita la “contrattazione collettiva di qualità”, la leader democratica ribatte: “La proposta delle opposizioni rafforza la contrattazione collettiva perché fa valere per tutti i lavoratori di un settore la retribuzione complessiva prevista dal contratto comparativamente più rappresentativo”. Più caustico Carlo Calenda, leader di Azione: “Massimo rispetto per la Ministra, tutti gli altri paesi del G7 e la maggioranza di quelli Ocse la pensano diversamente da lei. Ma si sa, noi siamo sempre molto più bravi di tutti gli altri. Mi concentrerei piuttosto sul merito del provvedimento che non colpisce in alcun modo la contrattazione nazionale, anzi. E aprirei un confronto di sostanza invece di liquidare la questione in modo semplicistico”.
Il punto è che a tenere bordone alla ministra non è solo la sua maggioranza, ma anche un pezzo del sindacato come il segretario della Cisl Luigi Sbarra il quale oggi ha ribadito che bisogna agire con i contratti e non con una legge “perché rischiamo di creare alibi e pretesti alle imprese che a quel punto possono decidere di uscire dall’applicazione dei contratti, attestarsi rigorosamente sul rispetto della soglia indicata dall’eventuale legge e determinare una spirale verso il basso della dinamica delle retribuzioni”. Sbarra ricorda che ci sono 166 contratti sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil con i quali “in Italia noi copriamo il 98% delle attività economiche e assicuriamo tutela ai lavoratori”. E però dimentica o non cita le decine di contratti pirata, un far west di cui restano vittime lavoratori di serie B.
In attesa che la proposta intraprenda il suo iter alla Camera e che le opposizioni tentino di scalfire il muro già eretto dalla maggioranza, i Dem non fanno a meno che sottolineare la portata dell’accordo. Per la coordinatrice della segreteria Pd Marta Bonafoni, quella di ieri è “una giornata importante per chi crede nel rilancio del Partito democratico come grande soggetto di ricostruzione del campo progressista”. Parola, quella di “campo”, che però non mette tutti d’accordo. Il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte – su questo da tempo molto cauto – parla piuttosto di “convergenze sui temi“. Con il Pd, aggiunge, “il consolidamento di un’intesa politica è un processo che necessita di tempo”. Il ragionamento, nel M5s, è che il “campo largo” è una formula che ha già fatto il suo tempo, nonostante si guardi alla proposta sul salario minimo come a un esperimento riuscito. Ma è da Azione che arriva la presa di distanza più netta, come previsto. “Nessun prologo di campo largo”, ma “una norma di assoluto buonsenso”, dice il leader Carlo Calenda. Che fa sapere di aver chiesto alla premier Meloni un incontro sul tema salario minimo. Il timore tra i calendiani è che questa intesa venga paragonata alla deleteria “foto di Campobasso“, quella di Schlein, Conte e Fratoianni al bar con la limonata. Timori che diventano certezze dalle parti di Italia Viva, dove si guarda a quella di Calenda come a una chiara prova di campo largo. La scelta di non firmare la proposta di legge è rivendicata come un atto politico. L’obiettivo di Renzi è ancora occupare spazio al centro, ammesso che ci sia.