Quando si pensava di aver visto tutto, ecco Smog. Perla rara, rarissima, proposta al Cinema Ritrovato 2023 di Bologna, tanto che dal 1962, anno in cui venne presentato al Festival di Venezia, se ne erano perse le tracce. Scomparso. Invisibile. Se l’era venduto per fare cassa, in mezzo ad un pacchetto di altri titoli, il produttore Goffredo Lombardo della Titanus: Il Gattopardo e Sodoma e Gomorra non avevano ricavato tanto da tornare in pari quindi Smog era finito in un archivio della MGM e lì rimasto a prendere la polvere. Tra l’altro su Youtube è stata caricata nemmeno sei mesi fa una versione di Smog un po’ claudicante uscita su dvd nel 2018, per quella che sembra l’unica versione disponibile sul mercato.
Ma il film diretto da Franco Rossi meriterebbe un’attenzione critica e commerciale ben diversa. È come se The Terminal di Spielberg si fosse trasferito all’aeroporto di Los Angeles e fuso con La Grande bellezza di Sorrentino in chiave colline upper class hollywoodiane. L’avvocato Vittorio Ciocchetti (Enrico Maria Salerno) fa scalo momentaneamente all’Inglewood airport di Los Angeles: da lì prenderà una coincidenza per il Messico dove deve sbrigare una causa di divorzio. Prima di ripartire devono però passare parecchie ore tanto che Ciocchetti decide di andare a visitare Los Angeles. Privo di passaporto (tenuto dalla compagnia aerea) e senza sapere che quattro elementari parole d’inglese, l’avvocato penetrerà il vuoto desertico e ripetitivo di quell’angolo di idealizzata umanità nonché la sua avveniristica architettura urbana in via di costruzione. Prima incontrerà Mario (Renato Salvatori, attore immenso qui carico come una molla che nemmeno Gassman) sorta di truffaldino self made man alle prese con affari bislacchi come le assicurazioni per animali domestici, un corso di italiano per ricche signore e l’acquisto di un piccolo appezzamento di Culver City dove pensa di trovare il petrolio; ma anche l’annoiata, birichina, avvolgente Gabriella (Annie Girardot) che farà conoscere a Ciocchetti una fetta di ricchissima classe agiata che vive tra Beverly Hills e Pasadena. Tanto che il protagonista convinto di poter partecipare anche lui a questa idilliaca festa mobile dello scatto sociale facile procrastinerà la partenza di 48 ore e parteciperà ad un party pieno di senatori e industriali californiani.
Smog non tratta ovviamente di inquinamento ambientale (anche se metaforicamente di aria pulita e secca che viene dal deserto si parla), ma di annebbiamento delle facoltà intellettive e sensoriali rispetto alla differenze economico-culturali della società statunitense sia tra chi le vive e chi ne è fugace ospite come Ciocchetti. Per una volta, infatti, gli italiani del boom risultano sì vagamente approfittatori ma è la vacuità dell’incedere statunitense al centro della lente d’ingrandimento di Rossi. O meglio dello stuolo di sceneggiatori (Rossi stesso, Giandomenico Giagni e Pier Maria Pasinetti, poi raggiunti da Pasquale Festa Campanile, Franco Brusati, Ugo Guerra, Massimo Franciosa) che sul conto spese di Lombardo si trasferì per osservare il brulicare losangelino per diversi mesi. Ne esce un’osservazione di penna e di macchina da presa, in alcuni momenti millimetrica, dei luoghi, degli spazi, delle linee architettoniche magniloquenti (l’aeroporto sì, ma anche la piscina sospesa sulle colline vista Los Angeles, e soprattutto l’immensa abitazione a forma di sfera trasparente dell’architetto Bernard Judge dove rimane intrappolato il protagonista) che trasmette ipnosi della sorpresa e piacere curioso della scoperta, anche a oltre 50 anni di distanza.
Nella terra dove nessuno cammina per strada e “si vive in automobile”, si acquistano i quotidiani in quei baracchini a forma di cubo all’angolo di una strada, si beve Coca-Cola al posto del caffè, la filosofia di vita agli albori, per gli italiani che vi si trasferivano, è quella del rischio non calcolato negli affari in nome dell’inventiva e del coraggio allo sbaraglio. Così sul banco degli imputati non ci finiscono macchiettisticamente gli italiani e nemmeno del tutto gli americani arricchiti dalla sabbia del deserto, bensì questo senso metafisico dell’attesa dell’anonima, imprevedibile, liberistica fortuna che toccherà primo o poi gli audaci. Smog non è solo un’avventura visiva (bianco e nero di Freddy McCord) che potrebbe perfino ricordare Zabriskie Point di Antonioni che però è del 1970, ma anche un’attenta ricostruzione di un tono cromatico catatonico abbagliante, e di un caratterizzante preciso aspetto sonoro diviso tra rumori ossessivi (quello delle scavatrici continue del petrolio è devastante) e il soundtrack di Piero Umiliani (e Chet Baker) che amplifica l’astrazione generale quasi sci-fi dell’atmosfera del racconto. Il restauro in 4k è a cura de L’immagine ritrovata, UCLA Film&Television Archive e Warner Bros. Per molti cinquantenni di oggi Rossi, che ebbe una lunga carriera tra cinema, tv e teatro, è il regista di Porgi l’altra guancia, egregio titolo con la coppia Bud Spencer-Terence Hill.