Voilà, ecco il Tour de France più originale del nuovo millennio. Inizia oggi da Bilbao l’edizione numero 110 della Grande Boucle: 3405 km da percorrere per arrivare il 23 luglio sugli Champs Elysées. È un percorso sperimentale: addio alle grandi salite oltre i 2mila metri (ce ne saranno giusto due), addio ai tapponi di montagna concentrati nell’ultima settimana, addio alle lunghe cronometro. Il Tour 2023 rimescola le carte e prova a disegnare un nuovo modo di vivere, di correre, di intendere il ciclismo. Tappe brevi, alcune brevissime. Una sola crono di appena 22 km. Trappoloni fin dal primo giorno, salite vere nella prima settimana. Tutto molto caotico, ma sarà su questo percorso che andrà in scena la grande rivincita tra il campione del Tour 2022 Jonas Vingegaard e la stella più luminosa del ciclismo moderno, Tadej Pogacar. Se funziona, se sarà spettacolo, questo modo di disegnare la corsa diventerà il futuro dei Grandi Giri, il futuro del ciclismo. Piaccia o non piaccia.

Il Tour 2023 che inizia nella città spagnola di Bilbao è una sorpresa giorno dopo giorno. Già la prima frazione presenta tre côte negli ultimi 40 km, l’ultima di 2mila metri al 10% di pendenza, si scollina a 10 km dall’arrivo. Ufficialmente è una tappa collinare, ma chissà cosa potrà succedere con al via corridori come Wout van Aert, Mathieu Van der Poel, Tom Pidcock e Julian Alaphilippe. Se scatta uno di questi, cosa faranno Pogacar e Vingegaard? Insomma, pronti via e nessuno può stare tranquillo. Anche perché il giorno dopo si arriva a San Sebastián percorrendo alcuni tratti della classica basca: un’altra frazione da punto interrogativo. E la prima settimana di Tour regala ulteriori perle: la tappa 5 è già la prima di montagna (Pau-Laruns), il giorno successivo il primo arrivo in salita a Cauterets-Cambasque, con il Col d’Aspin e il Tourmalet nel mezzo. Non è ancora finita: prima del giorno di riposo c’è pure l’arrivo in cima al vulcano Puy de Dôme, patrimonio dell’Unesco e del ciclismo francese.

La prima grande stranezza di questo Tour sta appunto nel disegno di questa prima settimana, che già da sola potrebbe regalare 4-5 colpi di scena. Attenzione: non ci sono quasi mai pendenze impossibili e i Pirenei vengono praticamente snobbati, con il passaggio sul Tourmalet che viene piazzato a quasi 50 km dall’arrivo prima di un’ultima salita da 16 km al 5,4%. Insomma, il confine tra imprevedibilità e noia è sottilissimo. C’è però un altro aspetto da valutare, una costante di questa Grande Boucle e un altro segno della sperimentazione: la lunghezza delle tappe. Le due prime frazioni in montagna misurano appena 162,7 e 144,9 km. In pratica, sono da fare a tutta fin dal primo metro. E questa è una direzione chiara e decisa che hanno preso gli organizzatori francesi: anche non considerando la cronometro, le altre 20 tappe hanno una lunghezza media di 169,2 km. L’ultimo Giro d’Italia, se si escludono le tre prove contro il tempo, aveva tappe lunghe in media 189,7 km. Ci sono 20mila metri al giorno di differenza.

Emblema di questa tendenza e di un Tour che stravolge i criteri tradizionali di un Grande Giro è la 20esima tappa, quella decisiva prima del gran finale a Parigi. Appena 133,5 km: una fucilata che attraversa i Vosgi con 6 gran premi della montagna – nessuno Hors Catégorie – e senza un metro di pianura. Tutte salite brevi o brevissime, arrivando al massimo a quota 1.200 metri. Sembra una classica in miniatura, impossibile da decifrare e da leggere tatticamente. Ecco perché è pensata per il ciclismo moderno, nel quale non è più eresia prova a far saltare il banco anche quando mancano 80 o 50 km all’arrivo. Dove le squadre sono decisive, ma poi i capitani si sfidano in un infinito testa a testa, come è stato un anno fa tra Pogacar e Vingegaard. E allora il percorso serve anche a prepara la battaglia in ogni momento: nella seconda settimana, ad esempio, è stato piazzato un trittico alpino. Il 14 luglio, che in Francia non può essere mai banale, l’arrivo sul Grand Colombier dopo appena 137,8 km. Poi altri 151 km con tre Gpm di prima categoria e un Hors Catégorie. E ancora: la scalata al Monte Bianco, in una delle poche tappe che ricorda la tradizione.

È tutto talmente paradossale da rendere l’ultima settimana quasi la più noiosa, con ben due arrivi per velocisti oltre agli Champs Elysées. Si apre con la cronometro Passy-Combloux di 22,4 km: mai nel nuovo millennio la futura maglia gialla avrà percorso così pochi metri contro il tempo. Il giorno dopo un’altra tappa spettacolare: si arriva a Courchevel dopo aver scalato il Col de la Loze (abbondantemente sopra i 2mila metri). Infine, l’ultimo sussulto sarà la già citata Belfort-Le Markstein, sabato 22 luglio. Il finale di un percorso che – quasi per uno scherzo del destino – è diametralmente opposto all’ultimo Giro d’Italia, disegnato seguendo tutti i crismi della tradizione: le cronometro in pianura nelle prime due settimane, qualche arrivo in salita sparso qua e là, la parte di percorsa veramente dura concentrata tra la fine della seconda settimana e i grandi tapponi alpini della terza. Peccato che lo spettacolo non c’è stato, tranne nell’ultima cronoscalata che ha regalato a Primoz Roglic la Maglia Rosa.

Questo Tour de France invece sulla carta ha 8 tappe per velocisti, solo 4 arrivi in salita e appena due scollinamenti sopra i 2mila metri. Sembra un percorso soft, ma è studiato per tentare di esaltare le caratteristiche dei nuovi ciclisti e le esigenze odierne. Tappe così brevi sono anche televisivamente più efficaci. Così come mediaticamente tutti vorranno assistere nuovamente al duello tra Vingegaard e Pogacar. Non è un caso che tra gli altri favoriti per la maglia gialla – oltre ai già noti Hindley, Mas, Gaudu, Simon Yates – sia stato inserito anche Mattias Skjelmose, che deve ancora compiere 23 anni. La sperimentazione del Tour s’incrocia con le nuove generazioni ed è un peccato che l’Italia non sia della partita: il solo Giulio Ciccone potrebbe dire la sua tra i 7 italiani al via (mai così pochi negli ultimi 40 anni). Il livello è altissimo e la corsa la fanno i ciclisti: al Tour ci saranno quasi tutti i migliori. Probabilmente un Pogacar avrebbe regalato spettacolo anche al Giro, anche su quel percorso. Ma visto che la storia non si fa con i “se“, sarà questa Grande Boucle a definire la strada verso il futuro.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Stadio Franchi fuori dal Pnrr, il Comune di Firenze fa ricorso al Tar contro il taglio dei fondi

next
Articolo Successivo

Tour de France al via: la storia di Emile Idée, il concorrente più anziano ancora in vita, e l’avventura del suo tour posticcio

next