Il segreto? “L’unica cosa certa che sappiamo è che il nostro tempo è limitato. Le opzioni, quindi, sono due: scegliere di investirlo facendo quello che ci viene detto di fare, oppure decidere di investirlo facendo qualcosa che amiamo”. Mattia, Francesco e Giacomo sono originari di Modena e nel 2013, poco più che ventenni, hanno fondato la loro startup. Oggi, 10 anni dopo, da Modena sono arrivati con un piede in California, a Oakland. Il cuore è in Emilia-Romagna, le ambizioni oltreoceano. “Non volevamo fuggire, anzi. Volevamo rimanere e cambiare le carte in tavola – precisano nell’intervista al fatto.it –. Vogliamo invertire la tendenza, offrire ai talenti italiani la possibilità di lavorare a grandi progetti internazionali ad ottime condizioni anche in Italia”.

Mattia Farina, classe 1989, ha una laurea in Ingegneria Gestionale. Oggi il suo ruolo è quello di attrarre e mantenere i migliori talenti digitali, sviluppare prodotti sicuri e di alta qualità grazie alla tecnologia. Giacomo Torricelli ha 31 anni e ha approcciato per la prima volta al mondo dello sviluppo software a 14 anni (“leggevo libri di programmazione in spiaggia d’estate, o la sera prima di dormire”). Francesco Vellani, 34 anni, ha un diploma come perito elettronico e ha iniziato a lavorare nell’agenzia di famiglia come grafico pubblicitario. “Tutto procedeva bene – ricorda –, poi un bel giorno Mattia mi ha chiesto di unire le forze e le competenze di giovani ragazzi per sviluppare un prodotto digitale”. A loro si unisce anche Giacomo, che nel frattempo ha lasciato gli studi alla facoltà di Ingegneria Informatica di Modena per dedicarsi alla creazione di qualcosa “che sentissi davvero appartenermi”.

Dopo “svariati mesi di sperimentazione”, Mattia, Francesco e Giacomo lanciano la startup, Mumble, con l’obiettivo di sviluppare prodotti digitali a elevato impatto sociale. È il maggio del 2013. L’idea è quella di costruire una serie di strumenti con cui si automatizza parte dello sviluppo di applicazioni per mobile, e-commerce e piattaforme web. “Il nome – sorride Giacomo – è quello associato al suono dei pensieri nei fumetti”. “Quando abbiamo fondato la nostra azienda eravamo poco più che ventenni, guidati dalla passione per la tecnologia. Oggi siamo in 20, con un piede in Italia e uno negli Stati Uniti”, sorride Mattia, ceo della startup che collabora al fianco di istituzioni come il governo degli Stati Uniti, Palo Alto University e Unesco. Nel 2023 l’impresa è stata menzionata da Google come esempio virtuoso per celebrare il lavoro svolto al fianco del Dipartimento degli Affari dei Veterani con l’App Stair, per la cura della disregolazione emotiva e il recupero dello stress post traumatico dei reduci di guerra.

“Notiamo che negli Usa l’approccio è un po’ più pratico e orientato al lavoro. Quando un progetto deve partire, parte in poco tempo e senza troppa burocrazia”, ricordano i tre, che nel 2014 hanno visitato la California e – poco meno di 10 anni dopo – progettano la costruzione di una sede. “Abbiamo fatto un viaggio diversi anni fa perché convinti che anche la tecnologia italiana fosse di altissimo livello e, per questo motivo, potesse dire la sua in un territorio che per definizione è all’avanguardia. Ci sentiamo molto stimati e benvoluti. L’attenzione è al contenuto più che alla forma: ci si concentra sulle competenze delle persone”.

Per il futuro meglio puntare sul mercato europeo o su quello americano? “Noi amiamo l’Italia, siamo nati e cresciuti qui – precisa Francesco –. Se ne parla spesso male, ma vivere in Italia ha una serie non banale di benefici che molti dei Paesi esteri non sono in grado di offrire”. Qualche esempio? L’approccio e la cultura del lavoro hanno uno “standard molto elevato” e spesso fanno la differenza “anche in realtà internazionali”. Non è un caso se buona parte del team di lavoro è italiano. “Non possiamo non menzionare, poi, il sistema universitario, che per quanto riguarda l’Università di Modena e Reggio Emilia, ad esempio, è molto valido e offre un bacino di giovani studenti preparati”, aggiungono.

Cosa dovrebbe fare allora lo Stato per le startup e cosa invece già funziona? “Credo che il costo del lavoro sia ingiustificatamente elevato e che i guadagni non arrivino nelle tasche dei dipendenti”, risponde Mattia. Ridurre la tassazione permetterebbe di pagare maggiormente i talenti italiani, aggiunge. “Personalmente – continua – ci ha aiutati moltissimo il jobs act del 2015, grazie al quale siamo riusciti ad assumere i nostri primi tre dipendenti. Per una startup autofinanziata che parte da zero, avere un taglio sul costo del lavoro è ossigeno puro. Senza quella legge non so se avremmo avuto la forza di partire”. In poco più di dieci anni sono stati ideati 150 progetti per oltre 100 aziende, con 6 milioni di utenti attivi in Europa e America. Come immaginare il futuro? “Ho passato la mia vita, seppur giovane, a fare progetti – risponde Francesco che, insieme ai suoi colleghi, ricorda chi si è spinto verso i territori più colpiti dall’alluvione in Emilia-Romagna per dare una mano con generi di prima necessità o più semplicemente per liberare strade e case da fango e detriti –. Ogni volta venivano cambiati da situazioni ed eventi non prevedibili. Per questo motivo – conclude – ho smesso di farli”.

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