Finalmente il Ministro Schillaci si è espresso a favore dell’istituzione della scuola di specializzazione in Medicina Generale, scuola presente nel resto d’Europa e magari aumentando il valore economico delle borse di studio (attualmente circa 800 euro versus i 1500 euro della specializzazione): si incentiverebbero i giovani medici ad intraprendere la carriera di medici di famiglia.
Il Ministro ha inoltre prospettato l’assunzione a dipendenza dei medici che lavoreranno nelle future Case di Comunità e il passaggio a dipendenza volontario per i medici attualmente a contratto di convenzione, anche se individuare un luogo fisico dove raggruppare i camici bianchi potrebbe mettere in discussione i parametri di capillarità e accessibilità che rappresentano la peculiarità della medicina generale e su questo bisognerebbe interrogare i cittadini.
In merito allo status giuridico del medico di medicina generale, questo non impatta sulla riorganizzazione delle cure territoriali se non nella misura in cui si vogliano incentivare i nuovi medici, dando loro più garanzie rispetto agli “anziani” in servizio che non sono tutelati da uno strumento contrattuale obsoleto, la Convenzione appunto, che non tiene conto dello sforzo umano, personale e organizzativo della categoria che ha lasciato sul campo più della metà dei morti per Covid. Se poi cambiare lo status giuridico del medico di medicina generale serve a dirottare parte dei fondi del Pnrr previsti per la costruzione e ristrutturazione delle Case di Comunità sul personale sanitario, ben venga il cambiamento. I medici di fatto hanno perso nel tempo, di convenzione in convenzione, la possibilità di esercitare la “libera professione intellettuale”; in cambio ne hanno ricavato un demansionamento progressivo e una burocratizzazione del lavoro senza precedenti, espressione della volontà di un controllo della parte pubblica ormai ossessivo sulla loro attività. Controllo che si inserisce in modo pervasivo nella libertà di cura.
Della libera professione rimane loro ormai solo il “rischio di impresa” che non viene compensato neanche dai guadagni, considerato che il potere d’acquisto degli stipendi è ridotto del 50% e la mancanza di tutele li vede in crisi personale e familiare, in caso di infortunio o lunga malattia. Perché oltre ad ammalarsi i medici perdono anche reddito, in quanto quasi mai i pazienti, dai quali dipendono economicamente in virtù della scelta fiduciaria, sono disposti a traslare questo rapporto di fiducia ad un sostituto scelto dal medico titolare – con sostituti, tra l’ altro, sempre più introvabili.
Il patto tacito con le istituzioni è stato quello di mantenere in vita un rapporto “libero-professionale anomalo”; in cambio la categoria ha dovuto gestire tutto il peso del gatekeeping che negli anni però è stato riversato completamente sulla “bassa manovalanza”; mentre gli stakeholder della professione che controllano i punti nevralgici della stessa (Ordini, Enpam e Fnomceo, per dirne alcuni) ne sono rimasti indenni.
Ecco perché la categoria dei medici di famiglia è in sofferenza. Il passaggio a dirigenza della medicina generale forse avrà un iter legislativo lungo o forse no. Nel frattempo si dovrebbe ipotizzare una nuova convenzione della medicina generale introducendo da subito la possibilità di poter usufruire dei benefici della legge 104, le ferie, il Tfr, la malattia di cui godono i medici della medicina dei servizi e gli specialisti ambulatoriali che lavorano a quota oraria all’interno di strutture pubbliche.
C’è necessità di introdurre nel nuovo contratto i concetti di pari opportunità; conciliazione vita/lavoro; adeguata retribuzione e valutazione standard dei carichi di lavoro che sicuramente non si esplicitano nelle ore di front office che svolgono in ambulatorio; la possibilità di poter usufruire del part time; una maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro. Questo per attirare nel sistema pubblico le nuove leve e per dare risposte ad una professione che si declina sempre più al femminile.
Dobbiamo essere ben coscienti che o ci salviamo tutti o nessuno, medici e cittadini insieme: il futuro del Ssn dipende anche dalla capacità di ricostruire tra i professionisti e gli utenti un patto solidale e di fiducia. Senza medici disposti a lavorare nel Servizio Sanitario Nazionale non c’è Sanità Pubblica, con tutto quel che segue.