“Una vita fatta di momenti d’oro e pause durante le quali si riflette molto. Si vive spesso in attesa di una telefonata e serve un carattere forte per non lasciarsi sopprimere dalla depressione che è sempre davanti alla soglia di casa di ogni attore”: così Nadia Rinaldi, iconico volto anni ’90, racconta a Libero la vita da attore. E racconta anche del suo spettacolo teatrale “Senza santi in paradiso”, un titolo che definisce autobiografico perché nella sua carriera niente santi “e nemmeno un politico che mi abbia raccomandata”. Rinaldi si definisce un simbolo delle “forme morbide” e sul personaggio interpretato nel film che l’ha resa nota, Faccione, spiega: “Io devo tanto a quel personaggio. Quando ho esordito ho rotto un po’ gli schemi. Il fisico mi ha aiutato. Ho riportato la normalità in scena. Importante soprattutto se vuoi andare ad affrontare la verità. Ho proposto personaggi molto vicini alla realtà e sono stata amata proprio perché la gente ci si riconosceva. Almodovar addirittura rimase affascinato dal manifesto. Mi disse che potevo essere una sua attrice. Era rimasto abbagliato da questa figura che Christian (De Sica, ndr) aveva costruito, di grande impatto”. Poi una riflessione su come, secondo lei (che oggi pesa 66 kg), sono cambiati i tempi: “Oggi vedo molti ragazzi secchi secchi con ragazze più basse e cicciotte. Quanto a me, all’epoca io ero quella per dopo la mezzanotte, mi dicevano grazie alla mia carica erotica. Mentre non andavo bene per essere presentata alla mamma. Oggi è tutto molto più tranquillo, anzi ammiro le ragazze cicciottone che vedo in due pezzi. Io di pezzi me ne mettevo otto e gli unici abiti che trovavo erano i camicioni alla Standa. Oggi anche nella moda c’è più scelta per tutte le taglie. Anche se io sono diventata un po’ la messaggera di come, seguendo determinati percorsi, si possano evitare i problemi che cogli anni derivano dall’obesità”.