Nella logica di un’escalation bellicista ormai fuori controllo, nonostante l’assuefazione dei più e l’arrivo dell’estate, Putin ha chiesto all’amico e alleato Lukashenko di immagazzinare in Bielorussia armi e missili nucleari tattici di Mosca. Il premier polacco conservatore Mateusz Morawiecki ci ha subito visto un’opportunità, così ha preso l’accordo Putin-Lukashenko come pretesto per chiedere a Washington che analoghe bombe atomiche tattiche statunitensi siano ospitate in Polonia. Varsavia, ormai è notorio, aspira ad essere l’avamposto americano nell’Est Europa contro le minacce della Federazione Russa. Secondo fonti OSINT una ventina di testate nucleari B61-12 degli Stati Uniti sul territorio polacco potrebbero svolgere la giusta funzione di deterrenza. Arsenale che andrebbe ad aggiungersi alle 100 testate nucleari Usa già dislocate nell’Unione Europea in basi militari di quattro paesi Nato: Belgio, Olanda, Germania e Italia.

In questo scenario, ecco una modesta proposta che non piacerà a Giorgia Meloni e al suo governo filo-americano doc (la premier probabilmente non ne parlerà nel bilaterale previsto mercoledì a Varsavia con Morawiecki): potrebbe essere proprio l’Italia a fornire alla Polonia, che ne ha tanto bisogno, le testate nucleari americane B61-12 oggi alloggiate nelle basi aeree di Ghedi, in provincia di Brescia e Aviano, vicino Pordenone. In forza di un trattato bilaterale segreto stipulato tra Roma e Washington negli anni 50, rinnovato nel silenzio assoluto del Parlamento fino ai giorni nostri da ogni governo in carica – centrosinistra, centrodestra, tecnico – le basi dell’Aviazione di Ghedi e Aviano [in foto] custodiscono ben 20 testate atomiche Usa ciascuna. Accordo e trattato top secret, che nel corso di vari decenni ha rafforzato il rapporto di sudditanza e vassallaggio di Roma nei confronti di Washington. Peggio: siamo l’unica nazione Ue con due basi militari dedicate alle atomiche americane, a conti fatti ospitiamo il 40 per cento dell’intero arsenale nucleare yankee in Europa, con gli enormi rischi e i pochi vantaggi che ciò comporta (immaginate la distopica situazione speculare di 100 bombe atomiche russe dislocate in Messico o a Cuba).

Tutti i sondaggi indicano che gli italiani sarebbero in larghissima maggioranza felici di liberarsi di queste armi apportatrici di distruzione e morti di massa (una bomba nucleare tattica ha una potenza superiore all’atomica sganciata su Hiroshima nell’agosto 1945). Da un’indagine di Greenpeace Italia realizzata da Ipsos, sappiamo che il verdetto degli italiani è inequivocabile. Circa l’80 per cento degli intervistati chiede che gli arsenali nucleari mondiali siano “smantellati”; che le testate statunitensi siano “completamente ritirate dall’Italia”; che i cacciabombardieri tricolore non siano impiegati per sganciare bombe nucleari; e che il nostro Paese aderisca al Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Ma la politica è completamente sorda alle richiesta del popolo. E il governo Meloni, fintamente sovranista, è sordo e anche cieco. La sconveniente verità è che Roma non ha voce strategica in ambito Nato ma in nome di una presunta sicurezza garantita dall’ombrello atomico americano accettiamo tutti i rischi legati a eventuali incidenti e persino a future rappresaglie di Mosca, se la situazione andasse fuori controllo. Poiché nel conflitto per procura in Ucraina tra Nato e Federazione Russa, il nostro paese – cobelligerante per l’invio di armi a Kiev – è considerato dai russi un possibile target.

Non c’è alcun legittimo bisogno che Biden, per quanto guerrafondaio, accetti la richiesta di Morawiecki di installare armi nucleari tattiche in Polonia, visto che la postura strategica di forza atomica in questa parte del mondo è già sufficiente agli americani per garantire i loro interessi. Inoltre, l’articolo 5 della Nato obbliga gli Stati Uniti a difendere la Polonia nell’improbabile eventualità che subisca un attacco russo. Circa l’ipotesi che l’Italia molli alla Polonia le proprie bombe atomiche “made in Usa”, sarebbe in teoria un’ottima idea se solo i partiti di opposizione (opposizione al governo più di destra dell’ultimo mezzo secolo) ne facessero una loro bandiera o missione. Ma chi può mai credere che Schlein o Conte possano avere il coraggio politico di scegliere simili battaglie per il loro elettorato? Escluso lo faccia il Pd, per quale motivo però il M5S non persegue invece un disegno di neutralità dell’Italia, imitando né più né meno l’Austria, solo per fare il nome di un paese della zona euro civile e moderno nel cuore dell’Europa? Per cui, senza che ciò implichi l’uscita dalla Nato, come sostengono i massimalisti, sarebbe bello che le quaranta B61-12 americane alloggiate nel Nord Italia andassero davvero alla Polonia, che le vuole tanto.

L’unico motivo per cui Varsavia amerebbe ospitare armi tattiche nucleari statunitensi è per sbandierare la propria affidabilità di paese alleato dell’America. Anche per sottolineare l’ambizione di ascendere al ruolo di potenza regionale, con una propria crescente “sfera di influenza” nell’Europa centrale e orientale. Il partito al potere di Morawiecki, “Legge e Giustizia” (PiS) spera di mantenere il consenso della base conservatrice prima delle elezioni autunnali. In generale, con la guerra in corso a poche centinaia di chilometri dal confine, la questione geopolitica in campagna elettorale sarà dominante molto più dei temi di politica interna. Punto cruciale è rafforzare la percezione che la Polonia sia in grado di garantire la sicurezza in quella parte d’Europa, di gran lunga meglio rispetto a una Germania che è l’ombra di sé stessa e in profonda crisi di identità, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. La maggior parte dei polacchi adora l’America, quindi Morawiecki spera che flirtare con l’idea di avere sul suo territorio la più potente arma di distruzione di massa (made in Usa) sia una buona carta elettorale da giocare in funzione anti-russa.

In questo scenario, va detto che la questione delle bombe atomiche non aveva mai avuto negli ultimi decenni la preminenza politica e mediatica che ha oggi. La notizia più recente in materia è che delle nove nazioni del Club Atomico – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele – il numero di armi nucleari operative ha iniziato ad aumentare con il progredire dei piani di modernizzazione e di espansione dei singoli Stati. Dal rapporto annuale dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) sullo stato degli armamenti, del disarmo e della sicurezza internazionale, si ricava che nel gennaio 2023 dell’inventario globale totale di 12.512 testate, 9576 erano in stoccaggio per un uso potenziale, 86 in più rispetto al gennaio 2022. Di queste, 3844 sono dispiegate su missili e aerei e circa 2000 (quasi tutte appartenenti a Russia e Stati Uniti) sono mantenute in uno stato di massima allerta operativa. Il che significa che possono essere lanciate nel giro di pochi minuti, montate su missili o pronte in basi aeree che ospitano cacciabombardieri nucleari (tra cui le 40 bombe di Ghedi e Aviano, montate su Tornado e F-35). Russia e Stati Uniti insieme possiedono quasi il 90% di tutte le armi atomiche.

Nessuno vuole un apocalittico fungo atomico sulla Pianura Padana, per cui sarebbe molto utile (e non utopistico) un passo concreto in direzione del disarmo nucleare come richiede – e obbliga – il Trattato Internazionale per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) ratificato dall’Onu e in vigore dal gennaio 2021. A cui l’Italia però si guarda bene dall’aderire. Il Trattato sancisce la proibizione e l’illegalità degli ordigni atomici, proprio mentre il mondo non è mai stato così vicino al rischio di un conflitto atomico, con le continue minacce del Cremlino (Medvedev: “Apocalisse nucleare è probabile”) pronto a difendere “con ogni mezzo” i suoi interessi in Ucraina nel confronto armato con una Nato sempre più agguerrita. Tutto ciò mentre la corsa al riarmo nucleare procede imperterrita e la spesa per gli arsenali nucleari è in costante crescita (+9% dal 2020 al 2021). Giorgia, dai a Mateusz le atomiche di Ghedi e Aviano.

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