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Francia, le ragioni delle proteste non sono solo razziali: questa società li ha resi irrilevanti

di Michele Sanfilippo

Mi sembra riduttivo usare la sola discriminazione razziale per spiegare la rabbia e la violenza che stanno investendo la Francia, dopo l’omicidio di un ragazzo di diciassette anni: il fuoco covava sotto la cenere da tempo. Non sono passati molti mesi da quando il paese si è mobilitato per numerose settimane per protestare contro la riforma delle pensioni, legge fortemente voluta da Macron, anche a costo di scavalcare il parlamento. E non sono passati molti anni da quando erano i Gilet Gialli a bloccare il paese.

La rabbia presente in Francia a mio avviso si spiega anche e soprattutto con un crescente disagio sociale ed economico, che derivano dall’incapacità delle politiche economiche neoliberiste, adottate ormai ovunque, di redistribuire la ricchezza e di operare quell’integrazione sociale che erano peculiarità dei paesi europei, negli anni ’60 e ’70, dotati di robusti sistemi di welfare. La Francia, il paese che ha dato luogo a una rivoluzione che ha cambiato la storia, è un paese più propenso di altri alla protesta ma la stessa rabbia è presente più o meno ovunque nei paesi occidentali.

A mio avviso “le origini del male” affondano le loro radici nel trionfo delle politiche economiche neoliberiste degli ultimi cinquant’anni, le cui finalità sono state espresse in modo perfetto dalle parole e dall’azione della Thatcher e di Reagan. Una delle frasi più citate della prima era, e cito testualmente: “La società non esiste, esistono solo gli individui”. Reagan, da par suo, recitava: “Amici miei, la storia è chiara: abbassare le tasse significa una maggiore libertà e ogni volta che abbassiamo le tasse la salute della nostra nazione migliora.” Dietro questi semplici e apparentemente banali enunciati c’è l’essenza del pensiero economico neoliberista, che è il germe di tutti problemi economico-sociali che stiamo osservando.

L’idea che non esista una società e che ognuno, in quanto individuo, debba pensare solo a se stesso, significa di fatto reintrodurre una sorta di legge della giungla in campo sociale ed economico: se sei più forte prenditi quello che vuoi. Lo Stato eliminerà lacci e lacciuoli che frenano la tua intraprendenza e non esigerà tasse per finanziare i servizi perché la ricchezza che gli individui sapranno creare verrà reinvestita e ci saranno ricadute positive per tutti.

Dopo cinquant’anni di queste ricette fallimentari che hanno solo allargato enormemente la forbice tra i moltissimi che hanno sempre meno e i pochissimi che hanno sempre di più, ancora si insiste a utilizzarle e nessuno, soprattutto i movimenti di sinistra, si sogna di contestarle. Ma non sono solo gli effetti economici che mi spaventano; la mancanza di una buona scuola pubblica, che sia il vero motore per l’ascensore sociale, relega sempre più persone in posizione marginale.

Tutte queste persone che scendono in piazza per devastare e razziare non lo fanno solo per ragioni razziali o economiche ma anche e soprattutto perché questa società li ha resi irrilevanti. E quando qualcuno si sente così pensa di non aver più niente da perdere.

Mando un messaggio alla sinistra che non c’è: io credo che si possa uscire da questa condizione solo ribaltando i principi del neoliberismo e tornando ad adottare politiche di welfare che ricostruiscano un’idea di società per la quale vale la pena di battersi. Perché non è vero che non esiste la società. Solo attraverso la coalizione e il mutuo soccorso gli individui hanno saputo proteggersi a vicenda. E oggi una politica degna di questo nome dovrebbe creare le condizioni che permettono a ogni individuo di percorrere la sua strada senza lasciare nessuno indietro.

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