I Popolari europei non cercheranno mai accordi col Rassemblement National di Marine Le Pen e i tedeschi ultranazionalisti di Alternative für Deutschland. Manca esattamente un anno alle elezioni per la formazione del nuovo Parlamento Ue che sarà poi chiamato a esprimere i presidenti delle principali istituzioni comunitarie, ma Antonio Tajani, ministro degli Esteri e soprattutto storico vicepresidente del Partito Popolare Europeo, chiude la porta alle più importanti formazioni dell’ultradestra europea, nonostante la necessità di nuove alleanze all’interno della Plenaria per poter eleggere le nuove cariche a Bruxelles. Dura le reazione di Matteo Salvini e della Lega: “Non accettiamo veti sui nostri alleati europei”.
“Voglio essere molto chiaro, sono anche vicepresidente del Ppe. Per noi è impossibile qualsiasi accordo con Afd e con il partito della signora Le Pen”, ha dichiarato ad Agorà Estate, su Rai 3. Quando gli è stato chiesto il perché di questa posizione, dato che nella famiglia europea di Identità e Democrazia è presente anche la Lega di Matteo Salvini, il presidente forzista ad interim ha detto che “la Lega è cosa ben diversa. Saremmo lieti di avere la Lega parte di una maggioranza, ma senza Le Pen e Alternative für Deutschland”. Parole che non sono bastate, però, a evitare la reazione contrariata degli alleati di governo. Il leader del Carroccio, però, non ci sta: “Mai la Lega andrà con la sinistra e i socialisti e non accetto veti sui nostri alleati – ha detto in un colloquio con i vertici del Rassemblement National, Marine Le Pen e Jordan Bardella – L’unica speranza di cambiare l’Europa è tenere unito tutto quello che è alternativo alla sinistra. Chi si comporta diversamente, fa un favore ai socialisti. L’unico centrodestra presente in un grande Paese come la Francia siete voi”. Salvini ha poi voluto tranquillizzare gli alleati europei spiegando che una parte del Ppe vuole virare a destra e ribadendo “la determinazione a costruire una casa comune del centrodestra alternativa ai socialisti, senza veti. Realizzare il primo storico governo di centrodestra, in contrapposizione alla sinistra delle tasse e dell’immigrazione selvaggia“.
I primi a parlare erano stati gli europarlamentari Marzo Zanni (presidente del gruppo Id) e Marco Campomenosi (capo delegazione Lega al Parlamento europeo) che hanno dichiarato in una nota: “Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron? La Lega lavora per cambiare la maggioranza in Europa e dare vita, finalmente, a un progetto di centrodestra unito capace di dare risposte concrete ai cittadini dopo anni di malgoverno delle sinistre. Non è il momento dei diktat, né di decidere a priori chi escludere dal progetto di centrodestra europeo, tanto più se questo arriva da chi fino a oggi è stato a braccetto di Pd e socialisti in Ue. Chiediamo più rispetto per i colleghi del gruppo Id, è proprio grazie ai voti dei nostri alleati francesi del RN e tedeschi di AfD se, insieme al Ppe, siamo riusciti a respingere l’ultima eurofollia green non più tardi della scorsa settimana. Ci rifiutiamo di pensare che qualcuno che si definisce ‘di centrodestra’ possa preferire Macron e le sinistre alla Le Pen”.
Andando oltre le questioni ideologiche, questa presa di posizione conferma che la strada intrapresa dal Ppe in vista del voto di giugno 2024 è quella di un allargamento, ma non fino a comprendere alcune formazioni di estrema destra che, da qui a un anno, potrebbero portare sul tavolo europeo importanti pacchetti di voti e tanti seggi. E le parole di Tajani arrivano da una voce tutt’altro che secondaria, non solo per il ruolo che ricopre all’interno del partito europeo, ma soprattutto per la collocazione di Forza Italia al suo interno. Il partito fondato da Silvio Berlusconi, un po’ come la Csu di Manfred Weber e altre realtà, è sempre stata espressione dell’ala più conservatrice dei Popolari, quella più aperta al dialogo con le formazioni di estrema destra, come dimostrano i recenti ‘flirt’ con i Conservatori Ue, famiglia politica di Fratelli d’Italia, e la battaglia per non far uscire il partito Fidesz di Viktor Orban dalla famiglia popolare, nonostante le pressioni dell’ala più liberale dei partiti del Nord Europa. Ma sull’intesa con Le Pen e Afd anche Forza Italia si schiera dalla parte dei contrari, chiudendo ulteriormente alla possibilità di un’intesa.
Così, la ricerca dei seggi utili alla formazione di una maggioranza che possa esprimere i nuovi leader delle istituzioni europee avverrà tenendo in considerazione una rosa più ristretta. Se la situazione non dovesse subire cambiamenti radicali da qui a un anno, i partiti tradizionali vanno infatti incontro a cali nei consensi più o meno netti. Ci si attende una débâcle, ad esempio, tra i Socialisti, principale partito con il quale il Ppe è dovuto in questi anni scendere a compromessi per eleggere le cariche europee. Sia il calo generalizzato dei consensi in molti Paesi europei che lo scandalo Qatargate rischiano di ridimensionare sensibilmente il peso di S&D all’interno della Plenaria. Così come a diminuire, anche se i numeri sono inferiori, potrebbero essere gli scranni occupati dai rappresentanti di Renew Europe, soprattutto se, come sembra, il partito di Emmanuel Macron dovesse continuare a perdere appoggio in favore proprio di Le Pen. Infine, un calo meno netto è previsto anche nel Ppe. È per questo che l’apertura a destra, sponsorizzata in primis dal portavoce Weber, si è resa necessaria. In primis proprio nei confronti del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, nel quale si trovano, tra gli altri, FdI, i polacchi di Diritto e Giustizia (che potrebbero creare non pochi dissidi interni al Ppe, dove milita anche Piattaforma Civica del rivale Donald Tusk) e gli spagnoli neofranchisti di Vox. Se anche Ppe-S&D-Renew dovessero riuscire a formare una maggioranza, questa sarebbe certamente risicata, esponendo il blocco al rischio di rimanere impantanato su alcune nomine. Inoltre, escludere Ecr significherebbe anche creare un probabile tappo in Consiglio europeo su decisioni di primaria importanza: i Conservatori sono infatti rappresentati da due leader di importanti Paesi per numero di abitanti, come Italia e Polonia, e siedono tra i banchi del governo in altri Stati. Restano da convincere Socialisti, Liberali e le anime più scettiche dei Popolari. Ma la linea rossa, almeno per ora, sembra tracciata: mai con Le Pen e Afd.