L’ultima resistenza al nuovo corso di Elly Schlein, dentro il Pd, arriva da Vincenzo De Luca, il presidente della Regione Campania, che ha più di un problema ad accettare che dal 2025 non sarà più governatore e che suo figlio Piero non sia più vicecapogruppo a Montecitorio. De Luca approfitta dei risultati al momento modesti del Partito democratico per liquidare la nuova leadership. “In questa sinistra si parla e poi si vive in maniera completamente opposta – dice mentre esce da una mostra su Pasolini -. Il tema del terzo mandato viene sollevato da gente che ne ha anche sette alle spalle. L’onorevole Schlein a 30 anni (in realtà ne ha 38, ndr) ne ha già tre: Parlamento europeo, Consiglio regionale e Parlamento italiano. Una cacicca ante litteram, direbbe qualcuno”. Vale la pena anche ricordare che De Luca è presidente della Regione da 8 anni, ha fatto il sindaco di Salerno per 17 dal 1993 al 2001, è stato deputato per 7 dal 2001 al 2008 ed è stato viceministro dal 2013 al 2014. Era stata la segretaria ad utilizzare quel termine – cacicchi – nel suo discorso di insediamento da segretaria: “Non vogliamo più vedere irregolarità sui tesseramenti, abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari”. E il riferimento indiretto era stato – tra gli altri casi – proprio alla Campania.

De Luca attacca Schlein dicendo che “ha rotto con i cattolici, non parla alle imprese, ai commercianti, alle partite Iva e non dice nulla sul mondo del lavoro, soprattutto dei giovani” e annuncia un evento per settembre che suona come una sfida e che dovrebbe essere una sorte di ‘operazione verità’ nel Pd perché “io non ho paura di nessuno e non debbo nulla a nessuno”. Per quello che nel partito, un tempo, chiamavano Pol Pot “il Pd in Campania è stato preso in ostaggio“. Il nervosismo esonda, come d’abitudine: “E’ finito il tempo delle finzioni e delle delinquenza politica. Qualcuno spiegherà come e perché si è verificato il sequestro del Pd in Campania. C’è una palude a Roma, gli uomini liberi non sono graditi. Io dietro di me ho il mio lavoro, la mia militanza e i miei risultati amministrativi. A Roma il 90 per cento sono miracolati, cooptati, che non saprebbero conquistare nemmeno il voto delle madri“. Una irritazione che sembra adombrare quasi una voglia di vendetta: “Io ho i voti, a Roma c’è qualcuno che non ha neanche il voto della madre”. Parole che qualcuno ha letto come una sfida o una minaccia a non mobilitare alle europee il voto del Pd campano, o per lo meno indirizzarlo verso candidati sgraditi dalla segreteria. E questo in una Regione, la Campania, determinante per il successo nella circoscrizione Sud. C’è chi gli ricorda che Schlein è stata eletta democraticamente da una maggioranza: “Io in Campania – ribatte De Luca facendo riferimento alle ultime regionali – ho ottenuto quasi il triplo dei voti che in tutta Italia ha preso la Schlein. In Campania il 70 per cento del Pd alle primarie ha detto no al look della Schlein e allora viene sequestrato il partito, con argomenti penosi. A che punto di cialtroneria e di delinquenza politica siamo arrivati. Il consenso diventa motivo di polemica, vanno bene solo quelli che perdono”.

Oltre al tema del consenso – non irrilevante per la verità – la critica di De Luca non si struttura su punti ben chiari dal punto di vista politico. Oggi, per intanto, il Pd riunisce la segreteria a Ventotene, l’isola del Manifesto europeista di Altiero Spinelli. Schlein renderà omaggio alla tomba del politico antifascista, il cui Manifesto sognò un’Europa federale quando essa non era neppure immaginabile, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Come noto, sull’isola pontina durante il Ventennio mussoliniano ospitò gli antifascisti ivi confinati dal Duce, tra cui Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, autori del Manifesto. Un modo per indicare che tipo di profilo la segretaria vuole dare al suo Pd in vista delle elezioni europee del giugno 2024. Una tornata elettorale essenziale non solo per il Pse a Strasburgo, ma anche per il Pd in Italia. Come tutte le elezioni con sistema proporzionale la concorrenza arriva dai partiti più vicini, ed una insidia giungerà dalla possibile lista liberaldemocratica a cui lavorano +Europa, Azione e altre realtà della società civile, che si preannuncia con un profilo federalista concorrenziale a quello del Pd. Anche a sinistra potrebbe diventare concorrenziale Avs, l’alleanza tra Verdi e Sinistra, se il centrodestra – come sembra avverrà in autunno – abbasserà davvero la soglia di sbarramento dal 4 al 3%, togliendo al Pd l’arma del voto utile. A giugno, dunque, servirà il contributo di tutti quanti nel Pd sono in grado di mobilitare il voto.

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