Riescono a litigare perfino sulla posizione da tenere sul caso della ministra del Turismo Daniela Santanchè. Per l’ennesima volta Carlo Calenda e Matteo Renzi si spaccano e hanno idee diverse dimostrando che il gruppo parlamentare sta insieme più per interessi che per visione. L’ultimo terreno di scontro è stata l’informativa della ministra sulle vicende delle sue società, una delle quali (Visibilia) raccoglie la pubblicità per il quotidiano diretto dall’ex presidente del Consiglio: da una parte il leader di Azione che ha chiesto le dimissioni in caso di mancate spiegazioni in Parlamento, dall’altra Italia Viva che invece rivendica il proprio garantismo. In mezzo, l’intervento del senatore Enrico Borghi, passato da poche settimane tra le file renziane, che parlando a nome del gruppo non ha chiesto un passo indietro di Santanchè.

Eppure, Calenda era stato chiarissimo prima dell’inizio della seduta: di fronte alle accuse, “vere o non vere, Santanchè spieghi perché sono vere o perché non sono vere e se non lo spiega per me si deve dimettere”, aveva avvertito. Con un messaggio chiaro anche a Italia Viva: “Vediamo se l’intervento del senatore Borghi sarà su questa linea. Nessuna questione giudiziaria: il penale segue il penale, a noi non interessa. Quello che ci interessa è che se tu non hai pagato il Tfr ai dipendenti, se non hai pagato gli stipendi ai dipendenti e non hai pagato i fornitori, se tu ti sei pagata compensi milionari mentre la società era in difficoltà… Se tutto questo è vero non puoi fare il ministro della Repubblica”.

Quindi la sintesi: “Se spieghi – noi fino ad oggi le dimissioni non le abbiamo chieste – che non è vero, nulla quaestio e si vada avanti. Ascolteremo l’intervento della Santanchè, ascolteremo l’intervento di Borghi. Io spero che rifletta questa posizione che è stata ben chiarita nell’assemblea dei senatori. Altrimenti ribadiremo la nostra”. La ministra non ha spiegato, anzi nel suo intervento è passata al contrattacco spargendo insulti sul modus operandi della stampa. Borghi, in maniera molto chiara, ha escluso qualsiasi richiesta di dimissioni lasciando una sorta di “libertà di coscienza” alla ministra. “Non ci iscriviamo – ha detto – a una logica faziosa, cogliamo il dato politico” e “non chiediamo a voi le dimissioni come voi le avete chieste ma diciamo che ogni valutazione è nelle sue mani e nelle mani della presidente del Consiglio che si assume la responsabilità e, se c’è dell’altro, tragga le sue valutazioni. La valutazione è tutta nelle sue mani”.

Una presa di distanze chiara, con il leader di Azione seduto alla sua destra – tre scranni più in là – che ha più volte sottolineato con espressioni facciali un disappunto per la posizione del senatore del suo gruppo, mentre Renzi – alla sinistra di Borghi – annuiva per le posizioni espresse. A conclamare la rottura, a cinque giorni dalla divergenza legata alla proposta di legge sul salario minimo, è arrivato lo spin di Italia Viva, attribuito a fonti: “Non ci siamo spaccati ma Paita ha detto a Calenda: se vuoi fare il giustizialista, fallo pure. Ma non lo farai a nome del gruppo. Se vuoi parli in dissenso a fine seduta. Noi saremo garantisti con Fdi come Fdi non lo è stata con noi”. Concetto ribadito a voce alta dall’iper-renziano Ivan Scalfarotto: “Sempre garantisti, verificheremo le cose dette oggi in aula da Santanchè. Non seguiremo Calenda sulla linea grillina, del Fatto Quotidiano e di Report”.

Tanto che il leader di Azione, a seduta conclusa, ha chiarito a Ilfattoquotidiano.it: “Non ho condiviso l’intervento di Borghi, non l’ho condiviso nelle sue conclusioni”. Perché? “Noi riteniamo che le risposte date dalla ministra siano lacunose e che dovrebbe valutare di fare un passo indietro. Ma sono cose che poi vedrà il governo e deciderà la Meloni, se ne assumerà la responsabilità”, ha aggiunto Calenda bocciando la mozione di sfiducia presentata dal M5s. “Una idiozia”, la definisce perché l’effetto sarà “che si compattano tutti, la mozione viene bocciata e Meloni potrà dire ‘io la devo tenere perché il Parlamento ha dato la fiducia’”.

Poi è tornato alla carica su Twitter: “C’è una profonda differenza tra essere garantisti e sostenere che comportamenti gravemente inappropriati di un membro di governo debbano essere considerati irrilevanti fino a eventuale sentenza passata in giudicato”, ha scritto il leader di Azione. “In tutte le democrazia liberali i membri di governo rispondono politicamente dei loro comportamenti, indipendentemente dalle vicende giudiziarie – ha proseguito Calenda – Non abbiamo chiesto le dimissioni della Santanchè fino ad oggi. Abbiamo chiesto spiegazioni. Le spiegazioni date sono parziali, inesistenti o omissive. Ricordo che in questo caso si parla di mancato pagamento del Tfr, uso fraudolento della cassa integrazione, mancato pagamento di stipendi, mancata restituzione di fondi pubblici etc”. Quindi, ha concluso, “alla luce di quanto accaduto oggi in Senato, la ministra dovrebbe seriamente valutare di fare un passo indietro”. L’ennesima spaccatura con Renzi è conclamata.

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Santanchè contro la stampa in Senato: “Pratiche sporche e schifose, sono io che devo avere delle risposte”

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