La Repubblica Popolare cinese ha annunciato la propria scelta di introdurre, a partire dal 1 agosto 2023, controlli sull’export di alcuni metalli rari (germanio e gallio) verso i paesi dell’Unione europea. Si tratta solo dell’ultimo capitolo della guerra dei chip in corso fra Cina e paesi occidentali. Nel marzo del 2023 infatti, sono stati i Paesi Bassi ad approvare un piano, su pressione statunitense, per limitare e introdurre controlli nell’export verso la Cina di tecnologie utili alla produzione di chip. Una scelta che si inserisce all’interno dell’orientamento generale intrapreso dall’Unione europea per limitare i rischi e le conseguenze un’economia troppo dipendente dal Dragone.
Nello specifico, germanio e gallio sono due elementi cruciali per la produzione di semiconduttori, radar, componenti elettronici e componenti militari, oltre che di fondamentale importanza anche per lo sviluppo di elementi utili alla transizione ecologica. Per queste ragioni, la Commissione europea ha condannato la decisione della Cina affermando, tramite un proprio portavoce, di essere “preoccupata che le restrizioni all’export non siano correlate alla necessità di proteggere la pace globale e la stabilità in attuazione degli obblighi di non proliferazione della Cina derivanti dai trattati internazionali”, chiedendo in seguito a Pechino di “adottare un approccio che preveda restrizioni e controlli basati su chiare considerazioni di sicurezza, in linea con le regole del Wto”. La replica nel merito di Pechino è stata particolarmente diretta, ribadendo che la stretta scelta avrà lo scopo di salvaguardare “la sicurezza e gli interessi nazionali” della Cina e si profila come una risposta al blocco Usa sulle forniture di componenti ad alta tecnologia al Dragone. Secondo quanto riporta il Global Times, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha poi precisato che il controllo sull’export è una “legittima pratica internazionale comune adottata anche da paesi dell’Ue”.
Le reazioni non si sono limitate a produrre risultati solo all’interno dei confini europei ma anzi, il Giappone, storico alleato occidentale, si è accodato alle proteste dell’Unione europea affermando tramite il ministro del Commercio Yasutoshi Nishimura che Tokyo terrà monitorate le mosse della Cina in merito a come intenderà implementare tali restrizioni e, se necessario, si opporrà a qualsiasi violazione delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) e di altri accordi internazionali. Il coordinamento fra Ue e Giappone si è per altro rafforzato proprio in questi giorni grazie alla sottoscrizione di un memorandum finalizzato ad un potenziamento della cooperazione nel settore dei microchip e “potenziare la resilienza della catena di approvvigionamento dei semiconduttori, compreso un meccanismo di allerta per prevenire eventuali interruzioni, in particolare per le materie prime critiche”.
Secondo uno studio pubblicato dalla Commissione europea, l’Ue importa il 71% del suo gallio e il 45% del germanio dalla Cina, primo estrattore mondiale. Ed è per questo che ora timori dell’Ue sono forti, poiché dall’andamento della transizione ecologica e del Green Deal dipenderanno sempre di più nei prossimi anni anche le prestazioni economiche degli stati membri.