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Uccisa e fatta a pezzi in un ristorante in Svezia: dopo la svolta sull’omicidio di Sargonia Dankha chiesti i domiciliari per Aldobrandi

Il 73enne di origini cosentine è stato accusato, circa due settimane fa, per l’assassinio di Sargonia Dankha, la 21enne irachena (naturalizzata svedese) scomparsa in Svezia nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995. Secondo gli inquirenti, il delitto sarebbe avvenuto a Linköping

di Alessandra De Vita

La difesa oggi ha chiesto i domiciliari al Tribunale del Riesame di Genova per Salvatore Aldobrandi, il 73enne di origini cosentine che è stato accusato, circa due settimane fa, per l’assassinio di Sargonia Dankha, la 21enne irachena (naturalizzata svedese) scomparsa in Svezia nel primo pomeriggio del 13 novembre del 1995. Secondo gli inquirenti, il delitto sarebbe avvenuto a Linköping. L’uomo, arrestato lo scorso 17 giugno per omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili e la soppressione di cadavere, non ha partecipato questa mattina all’udienza a Genova e il giudice si riserva ancora di deciderne l’esito. Aldobrandi è adesso rinchiuso nel carcere di Sanremo – città in cui vive da anni – su richiesta del giudice che ha motivato il provvedimento sottolineando quanto sia rischioso di lasciare Aldobrandi a piede libero.

La vicenda
Aldobrandi e la Dankha pare avessero una relazione turbolenta, infiammata dalla gelosia di lui, stando a quanto riportato dai tabloid svedesi. Lui, in Svezia, c’era andato a fare il pizzaiolo, come tipico di chi lascia l’Italia per i Paesi nordici. La ragazza, classe 1974, era stata vista viva per l’ultima volta, a Linköping, nella Svezia meridionale, quel 13 novembre del 1995. Tracce di sangue e capelli di Sargonia vennero rinvenuti dai poliziotti nel letto di Aldobrandi e nel bagagliaio di un’auto, una Ford Escort rossa: si iniziò a pensare all’omicidio. Quell’auto però non era la sua ma gli era stata data in prestito. Sia nell’ordinanza svedese che in quella italiana è scritto: “Aiutami a nascondere un cadavere fatti a pezzi”, la confessione che Aldobrandi rilasciò ad un gestore del pub a cui chiese di prestargli l’auto nello stesso giorno della scomparsa dell’irachena.

Le indagini
L’ipotesi degli investigatori fatta all’epoca fu che la ragazza fosse stata smembrata nella cucina del ristorante di Aldobrandi per poi essere trascinata e gettata in una discarica. L’uomo, unico indiziato, venne catturato e incarcerato ma fu rilasciato mesi dopo. Nonostante la polizia sembrava fosse certa che avesse commesso lui il truce crimine, il corpo della ragazza non è mai stato ritrovato. C’è da aggiungere che il sistema giudiziario svedese non consente l’accusa di omicidio né di individuare la responsabilità penale di un assassino, senza il ritrovamento di un cadavere o in assenza di testimonianze dirette. Un vero e proprio cold case risolto dagli investigatori italiani grazie all’incrollabile forza della famiglia di Sargonia Dankha, che non si è mai arresa alla scomparsa della ragazza. Grazie a un avvocato di Milano, i familiari si sono rivolti alla Procura di Imperia dove hanno presentato la loro denuncia. Il procuratore capo di Imperia Alberto Lari, e i sostituti Maria Paola Marrali e Matteo Gobbi hanno seguito il caso in Italia. Gobbi è volato in Svezia dove ha acquisito i fascicoli delle indagini svolte dai colleghi svedesi, tradotti in Italia da un interprete su incarico della Procura. Gli inquirenti italiani hanno dimostrato attraverso le indagini che Aldobrandi avrebbe ucciso la sua ragazza, molto più giovane di lui, durante quello che doveva essere il loro ultimo incontro, per poi nasconderne il corpo. Contro di lui sembra ci siano indizi e prove inconfutabili.

L’arresto
Al momento dell’arresto Aldobrandi era in Italia, in Liguria, dove si era trasferito dopo il rilascio delle autorità svedesi. Lasciò definitivamente la Svezia, nonostante là avesse dei figli. A Sanremo l’uomo, ormai ultrasettantenne, aveva iniziato una nuova vita al fianco di un’altra donna. Pare che in Italia, sia risposato due volte e che abbia avuto complessivamente circa otto figli. Il suo avvocato sostiene la tesi per cui una fuga non sarebbe verosimile, considerata l’età di Aldobrandi. Altresì quella di “rendersi invisibile”, facendo disperdere le sue tracce.

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