Società

Fanno bene a non investire a Napoli, e lo dico da napoletana. Ecco perché

Ero ieri alla presentazione del saggio Napoli, La Città Sospesa, ma non ancora crollata, almeno non sotto la sedia di quel parterre de roi che annuiva al Café del Teatro San Carlo. Per analizzare il passato, per interrogare il futuro e non trascinarsi in quell’eterno presente da immobilità perenne. Ecco alcuni flash.

Napoli città turistica? “Sì e no” – esordisce Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno – “il turismo mordi e fuggi non riesce a fare da leva economica. Napoli è ancora in cerca di una sua vocazione”. Napoli industriale? “Vedo solo piccoli lampi di modernità che subito si spengono”, continua D’Errico. Cosa sarà Napoli fra vent’anni? A quale modello deve ispirarsi? Perché Napoli dalla forte identità ha un’attrattiva internazionale ma si continuano a perdere i giovani? È possibile fermare la sua decadenza?

Tante domande, risposte deboli.

La quasi totale dipendenza dai fondi pubblici, la mancanza di regole, un piano regolatore vecchio di 30 anni, fanno sì che investitori privati e/o stranieri non se ne vedano ancora. Non si fidano. E intanto i figli della solida borghesia vanno a studiare fuori e ci rimangono. “Napoli manca di capacità di trattenere i talenti, sulla carta è promettente ma di fatto non crea occasioni di sviluppo”, interviene il sindaco Manfredi. Dopo le grandi Fiammate (anche con Napoli campione d’Italia), le grandi delusioni. Disaffezione, mancanza di quella spinta a fare e atavica tendenza all’individualismo. Il napoletano, doppia faccia, succube del proprio egoismo, non fa gioco di squadra. Sembrerebbe che il peggior nemico del napoletano sia proprio il napoletano. “Non è più tempo per stare da soli, bisogna lavorare insieme”, incalza Manfredi. Che vuole una struttura amministrativa, efficiente, competente e ben gestita.

Cosa rispondere allora all’industriale torinese Gianni Musso che ha preso casa al sud: due anni che aspetta la chiamata in prefettura per regolarizzare la sua dipendente ucraina. Ha sollecitato, ha inviato email al prefetto Palomba, ha supplicato per un suo diritto. A Genova ci sono voluti due mesi per regolarizzare il suo collaboratore.

Non credo di essere una voce isolata, ma mai come in questo momento la città sembra aperta ai barbari, a cominciare dai “distrutturisti”. A Napoli come si fiuta il business diventa sgraziataggine: i B&B nascono come topi, nei sottoscala, nei garage, nei bassi. Urge una politica di controllo, una polizia “turistica”, così si chiamerebbe, che vada in giro e verificare che la struttura abbia l’idoneità abitativa, che abbiano le finestre, che non siano tane dove anche uno dei sette nani si muoverebbe con difficoltà. Almeno metà chiuderebbero.

La fattura, questa sconosciuta, ogni manutentore che ti entra in casa, idraulico, elettricista esclama fiero “non rilascio fattura”. E tu che fai, dopo che gli hai dato la caccia per giorni e giorni? Li voglio denunciare, ma dove, a chi? Mi rivolgo a un funzionario della Guardia di Finanza: ma cosa dici? Perché mi scoraggi? E io che mi aspettavo una medaglia all’onore civico. Possibile che il farabuttismo sia così passivamente tollerato? La spinta al modernismo parte anche da qui, dalla battaglia contro l’evasione fiscale.

Taxi selvaggio: i tassisti sono il peggior biglietto da visita per la città. Al porto e all’aeroporto non ti caricano se sei un solo passeggero e prima ti chiedono dove vai, se la destinazione è vicina si rifiutano di portarti. Se insisti, ti insultano pure. Ecco perché quando mi dicono “non sembri napoletana”, prima tiravo fuori gli artigli, adesso lo prendo come un complimento.

I miei figli cercavano casa al sud, adesso preferiscono Helsinki.