Se dovessi fare il gioco della torre con i piccoli imprenditori e decidere una sola cosa da non salvare del loro processo gestionale, conseguenza della loro impreparazione e della qualità delle risorse a loro disposizione, non avrei dubbi: la complessità delle procedure. Non si può essere impresa nel XXI secolo se non c’è complessità: sembrerebbe essere l’assioma indiscutibile nell’odierna gestione della piccola impresa.
Affermando così, si accetta la complessità come un must e non la si affronta come un male oscuro che prima o dopo attacca qualunque organizzazione debilitandola. In azienda quando un problema deve essere risolto in maniera univoca solitamente si pensa di affrontarlo con una procedura e poiché i problemi aziendali cambiano nel tempo, le procedure crescono nel tempo.
E le procedure, nelle piccole imprese, sono quasi sempre formalizzate dal fare quotidiano. Nulla di scritto.
Così cresce la complessità nella gestione dei processi. La complessità di un sistema aziendale dipende da tanti fattori: dal numero dei livelli gerarchici, dal numero delle funzioni della struttura, dal numero dei ruoli, dal numero delle procedure, dal numero dei dipendenti. In strutture snelle come le PMI diminuendo il numero dei livelli gerarchici, le funzioni, i dipendenti ma aumentando le procedure e, spesso, i ruoli (con dipendenti multitasking che ne svolgono più di uno), la complessità di impresa aumenta con legge più che proporzionale. Il processo decisorio in tal modo rallenta; le informazioni necessarie per operare aumentano e fra di loro si confondono, la burocrazia si sostituisce all’intelligente discrezionalità delle persone, il senso di responsabilità si attenua, i risultati si dilatano nel tempo, l’impresa perde i colpi e la produttività scema. Tutto ciò è dimostrato e dimostrabile.
Ci vuole allora il coraggio di dar vita a progetti e programmi rivolti alla ricerca della semplicità, anche se ciò non è facile. Si chiama analisi organizzativa, uno strumento indispensabile per la valutazione delle performance delle strutture e delle persone nonchè per la gestione e il miglioramento dei processi produttivi aziendali.
A tal fine occorre tener presente che complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere tutto quello che si vuole. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. Per semplificare bisogna togliere e per togliere bisogna sapere cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più della scultura che vuole fare. Togliere invece di aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarla nella loro essenzialità. Eppure la maggior parte dei piccoli imprenditori quando si trova di fronte a certe espressioni di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente: questo lo so fare anch’io, intendo con ciò di non dare valore alle cose semplici perché a quel punto diventano quasi ovvie.
Il primo passo verso la semplificazione è fermare il processo di creazione di complessità. Non s’introduce una procedura nuova se non se ne elimina una vecchia. È necessario avere il coraggio di riconoscere l’inutilità di certe procedure (e, probabilmente, di certi ruoli anche di consulenza esterna) e il loro scarso ritorno economico rispetto al loro costo. Non si aggiunge personale nuovo quando un ufficio è cronicamente in arretrato, ma si affronta la situazione con un’analisi attenta delle attività svolte in esso, di quelle utili, quelle meno utili e quelle inutili e si sfrondano almeno queste ultime. In un ufficio perennemente in ritardo quasi sempre l’addebito s’ha da fare al collaboratore che non sa programmare gli eventi, che non sa dare le priorità, che non è flessibile, che non sa assumersi la responsabilità di non realizzare “certe cose”.
Prima di pensare di aggiungere un nuovo collaboratore, sarebbe il caso di capire se è più semplificante fare a meno di quel capo (quasi sempre un familiare dell’imprenditore) o di quel consulente (quasi sempre un “tuttologo” sottopagato).