Moda e Stile

L’Alta Moda di Valentino è sempre qualcosa che somiglia a una fiaba: siamo saliti su un pullman verso un castello (non qualsiasi) ed ecco cosa abbiamo visto

"Un castello - spiega Pierpaolo Piccioli ai giornalisti - perché potrebbe essere qualsiasi castello. Quello che mi interessava focalizzare era il simbolo: il castello è stato per tanti anni l’emblema del lifestyle di Valentino, ora voglio che sia il luogo che accoglie una comunità che condivide certi valori. Non più la casa di un re con la sua corte, ma uno spazio di libertà individuale"

di Ilaria Mauri

L’appuntamento è alle 17.30 in Place Vendôme. I transfer per il Castello di Chantilly sono dei grossi autobus da turismo, inaspettati se si pensa al ‘classico’ ambiente d’alta moda. Con una sottile eccitazione mista a trepidazione, saliamo tutti a bordo. L’atmosfera è quella scanzonata delle gite scolastiche, tra gli sbuffi per il traffico infernale di Parigi e qualche nocciolina da sgranocchiare. Un coro di “wow” si leva quando, dopo due ore di coda, finalmente il bus prende il viale del castello. Lo chateau de Chantilly, il castello della ribellione della Fronda, si staglia maestoso ed imponente davanti a noi, immerso nella lussureggiante campagna francese, con le sue torrette, gli archi e le cupole che si riflettono nel fiumiciattolo che lo circonda. È il paradiso per gli influencer, ma in realtà nessuno dei presenti resiste alla tentazione di scattarsi una foto. Sembra di essere in un sogno. Le rivolte e gli scontri che solo pochi giorni fa si sono tenuti a una manciata di chilometri da qui sono ormai un ricordo lontano

Ed è solo l’inizio della meraviglia. Il tempo di un sorso di champagne ed è ora di raggiungere i propri posti, nei lussureggianti giardini progettati nel Seicento dallo stesso architetto paesaggista che ideò quelli di Versailles. Sono le 20.30, l’ora d’oro in cui il sole rende magico tutto ciò che sfiora con i suoi raggi. Nell’aria si diffondono le note malinconiche di Anohni ed ecco che inizia lo spettacolo. La capofila è Kaia Gerber, indossa una camicia bianca e un paio di pantaloni che sono un capolavoro d’altissima sartoria, ricamati con perline di 80 sfumature di blu per ricreare lo stesso effetto di un jeans Levi’s vintage. Chi mai si aspetterebbe un (quasi) denim in una collezione d’alta moda, presentata oltretutto in un castello? È il primo dei tanti paradossi con cui il direttore creativo Pierpaolo Piccioli si è divertito a giocare in questa sua sfilata Haute Couture Fall/Winter 2023-24 “Un chateau”.

“Un castello – spiega Piccioli ai giornalisti – perché potrebbe essere qualsiasi castello. Quello che mi interessava focalizzare era il simbolo: il castello è stato per tanti anni l’emblema del lifestyle di Valentino, ora voglio che sia il luogo che accoglie una comunità che condivide certi valori. Non più la casa di un re con la sua corte, ma uno spazio di libertà individuale, dove ognuno possa sentirsi libero di esprimere sé stesso. Ci sono sempre significati pregressi su quello che si vede, mi piaceva che in questo castello ci fosse ancora di più senso di semplicità”. Ma la semplicità di Piccioli è solo apparente, è “la complessità risolta” di cui parlava Constantin Brancusi, il punto di arrivo massimo della sua alta moda. Nulla è come sembra in questa collezione regale nella sua essenzialità. Anzi, ogni simbolo è stato puntualmente risignificato. La stola di ermellino è fatta in realtà di piume, il mantello dorato del “re” è un cappotto dalla lavorazione all’avanguardia; in un gioco di paradossi che porta la libertà in un posto dove le regole sono state l’impalcatura che l’ha reso tale.

Sembra banale dirlo, ma gli abiti sono davvero una meraviglia continua, pennellate di un pittore che attinge dalla sua tavolozza per fissare un momento nell’eternità. Le silhouette sono allungate, la verticalità è sottolineata dai lunghi orecchini chandelier di cristalli che riflettono gli ultimi raggi di sole. Piccioli fissa il movimento nei suoi abiti che avvolgono il corpo con un gesto quasi spontaneo. Certi abiti hanno la stessa morbidezza dei panneggi dei capolavori rinascimentali di Raffaello, Botticelli, Filippo Lippi, Beato Angelico, Tiziano e Veronese che adornano le pareti del castello. Tutto è un rimando e le similitudini tra questi abiti e il luogo che li accoglie sono ancor più potenti quando si va nel backstage (che poi è una delle sale principali del castello): i damaschi e gli arazzi diventano, con tocco di Piccioli, intarsi di ricami. Le porcellane bianche un vestito in maglia intessuta di paillettes candide. Gli intensi colori ad olio delle pitture seicentesche diventano macchie di colore su un dress bianco. Cappe e mantelli avvolgono le modelle conferendogli un senso di ieraticità che fa di loro delle Madonne contemporanee. Ai piedi delle pantofole che ricordano quelle del Re Sole a ribadire questa idea di bellezza senza sforzi. “L’alta moda ha bisogno di cultura per essere capita. La cultura di chi compra crea anche il valore del capo”, sottolinea il direttore creativo di Maison Valentino. E ha ragione da vendere.

Quando per il gran finale scende in passerella con tutta la squadra dei sarti dell’atelier, il pubblico irrompe in un applauso scrosciante e si alza unanime in piedi per una standing ovation. Anche Anna Wintour, seduta in prima fila a pochi metri da me accanto a Donatella Versace e Baz Luhrmann, si alza e applaude entusiasta quest’uomo che ancora una volta ci ha regalato il sogno dell’alta moda. Difficile trattenere la commozione in un momento così e anche ai più stoici addetti ai lavori si inumidiscono gli occhi. L’autentica bellezza va dritta al cuore senza passare dal cervello. Poi via, è tempo di concedersi un cocktail e un ballo nel cortile del castello come moderni castellani. E a mezzanotte, Cenerentola lo sa, finisce la magia, bisogna correre in carrozza. O nel mio caso, sul pullman.

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