Dopo l’ordinanza del 18 gennaio 2021 che accoglieva il ricorso di un migrante dichiarando illegittime le riammissioni informali in Slovenia, arriva ora una decisione che afferma la responsabilità delle autorità italiane anche per i successivi respingimenti in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina e per le condizioni inumane e degradanti cui la persona è andata incontro. Una decisione più che mai attuale vista l’intenzione ribadita dal governo e dall’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di voler ripristinare le riammissioni. “Per noi è uno strumento pienamente legittimo, uno degli obiettivi da perseguire”, ha detto il ministro lo scorso 14 gennaio. Del resto fu proprio lui a introdurre la prassi da capo di gabinetto del ministro dell’Interno Matteo Salvini nel primo governo Conte. Al suo ministero sta ora di risarcire il danno cagionato tre anni fa.
Il ricorso è stato presentato nel dicembre 2021 da un cittadino pachistano, uno dei 1.300 migranti respinti dall’Italia nel corso del 2020 in virtù di un accordo siglato nel 1996 tra Italia e Slovenia e mai ratificato dal Parlamento. Rimasto ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan e temendo ritorsioni sia da parte degli estremisti che dell’esercito pakistano, di cui era membro, nel 2018 lascia il suo Paese. Giunto in Turchia, per due anni tenta l’ingresso in Grecia. Poi sarà in Macedonia del Nord, Serbia, e nell’estate 2019 in Bosnia da dove tenta di raggiungere l’Italia subendo nove respingimenti dalle autorità croate e tre da quelle slovene. All’ennesimo tentativo raggiunge l’Italia e il 17 ottobre 2020 arriva a Trieste. Ma insieme ad altri quattro viene intercettato, trasferito in una stazione di polizia e obbligato a firmare una serie di documenti di cui non gli è stato tradotto né spiegato il contenuto. Infine, si legge nell’ordinanza del Tribunale di Roma firmata dalla giudice Damiana Colla lo scorso 9 maggio, “nonostante avesse espresso la volontà di chiedere protezione internazionale, viene affidato alle autorità slovene, trattenuto in una stazione di polizia per la notte e l’indomani consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, percosse comprese”. In Bosnia ha inizialmente trovato riparo presso l’insediamento informale di Vedro Polje, per poi decidere di affrontare nuovamente il percorso, spinto dalle degradanti condizioni di vita al campo, e giungere in Italia il 17 aprile 2021. Al quattordicesimo tentativo di quello che sulla rotta balcanica tutti chiamano “the game”, il gioco, anche se fa morti e feriti. Alla fine è riuscito a presentare domanda di protezione internazionale e da oltre un anno è un rifugiato.
La storia del suo ricorso contro il Viminale inizia proprio nel campo bosniaco di Vedro Polje, dove incontra la giornalista Elisa Oddone e Diego Saccora, operatore dell’associazione “Lungo la rotta balcanica”, parte della rete RiVolti ai Balcani. I due faranno da ponte con le legali Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Asgi che patrocineranno il suo ricorso. Oddone e Saccora saranno anche i principali testimoni davanti al giudice delle condizioni estreme di freddo, fame e pericolo in cui ha vissuto insieme ad altre migliaia di persone. Ribadendo quanto affermato nell’ordinanza del Tribunale di Roma del 2021, la giudice ha dichiarato la sua riammissione in Slovenia in contraddizione con le “norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo non ratificato con legge”. Per lo stesso motivo l’accordo tra Italia e Slovenia tanto caro a Piantedosi non può impedire l’esame individuale delle singole posizioni in violazione dell’obbligo previsto dall’art 19 della Carta del Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, come invece è successo al ricorrente e a tanti altri, respinti senza la consegna di un provvedimento, senza alcun esame delle situazioni individuali e dunque con lesione del diritto di difesa e del diritto alla presentazione di un ricorso effettivo. Insomma, l’informalità, dice il Tribunale, è illegalità. Trattandosi di persona che ha manifestato la volontà di presentare domanda di protezione, poi, la riammissione in questione viola lo stesso accordo italo-sloveno, che non contempla i richiedenti asilo.
Ma in virtù delle tante prove raccolte grazie alla rete solidale formatasi intorno a questo cittadino pachistano, la nuova ordinanza va oltre la precedente, dichiarando il nesso di causalità tra la riammissione decisa dalle autorità italiane e le conseguenze subite dalla persona. La procedura, ha scritto il Tribunale, “deve in primo luogo qualificarsi come antigiuridica e dunque illegittima per contrasto col diritto interno, anche di rango costituzionale, e internazionale, con valore di fonte sovraordinata ai sensi dell’art 117 Cost.”. Non solo: “Tale condotta è stata inoltre posta in essere nonostante le autorità responsabili conoscessero, o almeno avrebbero potuto (e dovuto) conoscere, le conseguenze della riammissione stessa, alla luce dei numerosi rapporti citati già allora esistenti”, scrive la giudice elencando tante fonti a disposizione delle autorità italiane che non potevano non sapere a cosa sarebbe andato incontro il respinto: in Slovenia, in Croazia e infine in Bosnia, come al tempo dei fatti già era stato denunciato anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović: che il 7 dicembre 2020 scriveva “Le attuali condizioni meteorologiche minacciano la vita di oltre 1.700 persone, comprese famiglie e bambini, che hanno solo un accesso limitato al cibo e all’acqua potabile. Le preoccupanti condizioni igienico-sanitarie aumentano l’esposizione a malattie trasmissibili e infettive nonché la diffusione della pandemia di coronavirus”.
Il Tribunale ha così concluso riconoscendo che “la descritta condotta illegittima non incolpevole dell’Amministrazione abbia arrecato un danno ingiusto al ricorrente, esponendolo a serie e molteplici violazioni dei suoi diritti fondamentali”. Danno quantificato in 18.200 euro, “pari alla misura di 100,00 euro per ogni giorno di ritardo nell’accesso alla procedura d’asilo in Italia, per periodo compreso tra il 17.10.2020 ed il 17.04.2021”. Una decisione, scrive l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), che è il frutto “di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete Ri-Volti ai Balcani, la giornalista Oddone, la ong “Lungo la rotta balcanica”, l’associazione Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja (PIC), il progetto Medea dell’Asgi, ICS Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito”.