“Le proiezioni ci dicono che potremmo attenderci più di 200mila arrivi di persone nel 2023, numeri mai visti finora”. Lo dice il Salvatore Vella, a capo della Procura di Agrigento che da anni indaga sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo centrale pur disponendo di 7 magistrati effettivamente in servizio su 12 in organico. Al 7 di luglio il cruscotto statistico del Viminale segna 69.137 arrivi, contro i 30.862 dello stesso periodo del 2022. “Il fronte delle partenze si è allargato coinvolgendo ampiamente la Cirenaica e la Tunisia, come avevamo previsto. Con presenze e modalità che è impossibile sfuggano alle Istituzioni locali africane”, racconta il magistrato a Nello Scavo, inviato a Lampedusa per il quotidiano Avvenire. Inoltre dalle coste del Nordafrica partono anche migranti del Pakistan e del Bangladesh, che qualche tempo fa erano più frequenti sulla rotta balcanica e oggi atterrano direttamente in Libia per poi prendere il mare. “I trafficanti asiatici offrono veri e propri ponti aerei da quegli Stati alle coste africane in aereo”, spiega Vella. E parla in particolare della Cirenaica, territorio controllato dal generale Khalifa Haftar: “Riteniamo sia impossibile che le polizie di frontiera e le autorità che gestiscono questi scali non si avvedano di questi arrivi e non sappiano che fine facciano tutte queste persone, parliamo di decine di migliaia di migranti”.

Parole che ridimensionano quelle della commissaria Ue agli Affari interni, Ylva Johansson, che ieri ha parlato di “buona relazione con Pakistan e del Bangladesh” sul tema immigrazione, mentre ha ammesso i difficili rapporti con la Libia. Nel febbraio 2017 l’Italia ha firmato un memorandum con la Libia che comprende innanzitutto mezzi e finanziamenti per la cosiddetta guardia costiera libica. Ma sul fronte del contrasto ai trafficanti il procuratore reggente di Agrigento ricorda che non c’è alcuna cooperazione con le autorità giudiziarie in Libia. Peraltro, il lavoro di Agrigento ha contribuito alle indagini della Procura presso la Cortepenale internazionale. “È estremamente complicato talvolta distinguere gli uni dagli altri”, risponde Vella a Scavo, che domanda se tra gli indagati vi siano anche esponenti delle istituzioni locali. “Nel contesto libico è complicato distinguere tra bande criminali, milizie, gruppi armati, e quanti traquesti sono affiliati direttamente alle varie branche delle Istituzioni libiche”, spiega confidando negli strumenti della giustizia internazionale. Quanto alle condizioni nei campi di detenzione libici, descrive una situazione “terribile”. “Possiamo paragonarli ai “campi di prigionia e sterminio”, già visti in altri luoghi o epoche storiche. Luoghi nei quali avvengono abusi, torture, omicidi, violenze sessuali su donne, su uomini e sui bambini”.

C’è poi la Tunisia, che è ormai il primo Paese di provenienza dei migranti sbarcati in Italia. Commissione europea e Italia sono al lavoro per firmare un memorandum che comprenda cooperazione economica e collaborazione sul contrasto all’immigrazione irregolare. Nelle intenzioni il governo italiano, l’accordo dovrebbe rappresentare un modello, ma la firma annunciata per fine giugno, come spiegato anche da ilfattoquotidiano.it, sembra allontanarsi, mentre è sempre più probabile il default finanziario di un Paese che a breve non avrà più i soldi per i dipendenti pubblici e affronta tensioni sociali, anche tra la popolazione e i migranti subsahariani, vittime di deportazioni in Libia mentre il presidente tunisino Kais Saied prende accordi sul controllo dei confini con il capo del Governo di unità nazionale libico, Abdulhamid Dabaiba. “Quello che sappiamo per certo, attraverso le numerose testimonianze che raccogliamo, è che tanti hanno deciso di raggiungere la Tunisia perché considerata meno pericolosa per i migrantirispetto alla Libia. Ma allo stato non possiamo escludere che questi “passaggi” da un Paese all’altro siano frutto anche di una joint-venture tra gruppi criminali nei due Paesi”, spiega Vella. “Sembra emergere come le partenze dalla Tunisia sono gestite da organizzazioni criminali tunisine, che si avvalgono dell’ausilio di “procacciatori di affari” di quelle etnie per reclutare migranti loro connazionali. Molte di quelle persone per raggiungere la Tunisia attraversano la Libia“. A conferma della situazione nel Paese, dove le partenze subsahariane hanno superato quelle dei tunisini, Vella ribadisce che “continuiamo a registrare migliaia di tunisini tra le persone che sbarcano a Lampedusa”.

E infine le organizzazioni umanitarie sulle quali anche si è indagato in questi anni, a partire dalle ipotesi di collegamenti tra i trafficanti e le stesse ong. La risposta è diretta: “Non abbiamo trovato alcuna traccia”. Poi precisa: “La nostra Polizia giudiziaria ha lavorato a fondo su tali teorie e non è mai stato trovato nulla di concreto”. Sul famoso pull factor, cioè l’ipotesi che la presenza delle ong nel Mediterraneo diventi un fattore di attrazione per i migranti che partono dal Nordafrica, Vella attinge alla sua esperienza pluridecennale: “A governare le partenze nella maggior parte dei casi sono esclusivamente le condizioni meteomarine del Canale di Sicilia, unite alle condizioni socioeconomiche o politiche dei Paesi di partenza dei migranti, in continuo mutamento. Ciò che fa migrare gli uomini sono ancora la fame, la guerra e la malattie”. Ma, dice ricordando le parole di Papa Francesco a dieci anni dalla visita del Pontefice a Lampedusa, “noi nelle migliaia di persone che continuano a sbarcare aLampedusa vediamo davvero le vittime della “globalizzazione dell’indifferenza” di cui parlava il Papa, oramai quasi non si versano più lacrime davanti agli scartati”.

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