Non gioco più me ne vado, cantava Mina. E a Xavier Dolan, enfant prodige del cinema d’autore del nuovo millennio, il pomello dell’autoradio deve essersi sintonizzato definitivamente su quella canzone. Già, perchè in un’intervista a El Pais per presentare la mini serie The night logan woke up da lui diretta, il 34enne regista e attore canadese, otto film in poco più di dieci anni, tutti finiti in concorsi festivalieri, ha sbottato: “Troppa delusione. Quasi nessuno vede i miei film. Non ho più forza e nemmeno voglia di continuare in progetti lunghi due anni che poi nessuno guarda”. Insomma, una specie di annuncio del proprio ritiro dalle scene. Con un sottotesto: il cinema d’autore, almeno quello di Dolan, non tira, se non ai festival e nell’autocelebrazione del settore art house. Una sentenza che spaventa. Detta poi da una giovane promessa tenuta in palmo di mano da Thierry Fremaux e Cannes, che giusto una volta, per qualche ritardo di post produzione finì anche a Venezia con Tom à la ferme (2013).
Stanco e scoraggiato, Dolan ha spiegato che la miniserie coprodotta da Canal+ non gli ha fatto guadagnare nulla, anzi ci ha investito un sacco di quattrini propri, chiedendo prestiti anche al padre. Da qui lo sconforto è scivolato in quella che per gli addetti ai lavori è sembrata una carriera luminosa: nel 2009 gira a 19 anni J’ai tué ma mere, poi a seguire Les amours imaginaires, Laurence Anyways, Tom à la ferme, Mommy, It’s only the end of the world, The death and the life of Johnny Donovan, e Matthias&Maxime nel 2019. Tutti film in cui Dolan si è profuso in regia, scrittura, montaggio, e spesso come interprete e montatore. Insomma una figura da “autore” modello Nouvelle vague e New Hollywood molto apprezzata dalla critica soprattutto in lingua francese. Ma evidentemente oggi per rimanere a galla, ovvero “ma con il cinema ci mangi?”, non è bastata.
“Questo è un lavoro che non dà più soddisfazioni. La soluzione più semplice è dirigere spot pubblicitari, così almeno potrò costruirmi una casa”, ha infatti aggiunto l’artista canadese che oltretutto ha firmato le regie di video musicali ottenendo un successo lì davvero globale, grazie soprattutto alla regia del video del brano Hello di Adele: quasi 28 milioni di visualizzazioni in 24 ore. Dolan ha raccontato spesso nel suo cinema il rapporto impetuoso, irrequieto ed fragile tra figli e madri, in primo luogo strofinando il memoir, giocando stilisticamente con i formati (in Mommy l’attore protagonista amplia e restringe in scena con le mani il quadro per lo spettatore dal quadrato 1:1 ad un largo 1,85:1).
Va anche detto che i titoli più commerciali e pubblicizzati avevano ottenuto al box office anche un discreto successo. Mommy, ad esempio aveva più che raddoppiato il proprio budget – 5 milioni -, raggiungendo un incasso di 13 milioni di dollari, e It’s only the end of the world (Vincent Cassel, Lea Seydoux e Marion Cotillard tra le star del film corale) aveva sfiorato i dieci milioni a fronte di 7 milioni per la produzione. Dopo nemmeno 24 ore dallo shock ecco che Dolan riappare, questa volta in prima persona, dalle sue Instagram stories e rimette in discussione tutto. Ritiro ni, insomma. “Ovviamente l’arte conta”, scrive. “Ovviamente il cinema non è una perdita di tempo”, aggiunge. E chiosa: “Talvolta alcune frasi sono lette fuori contesto e i dettagli si perdono nelle traduzioni. Mi spiegherò meglio presto. Inoltre, sto bene”.