Dopo i due anni per il caso plusvalenze, altri 16 mesi di inibizione
Un’altra stangata, ma stavolta solo per Andrea Agnelli. Altri 16 mesi di squalifica per l’ex presidente bianconero, l’unico che non aveva accettato il patteggiamento con la Procura federale, e a questo punto anche l’unico, vero colpevole del secondo filone dell’inchiesta, quello sulla famosa manovra stipendi. Siamo quasi all’epilogo dello scandalo che ha sconvolto l’ultima stagione calcistica. Non è ancora l’ultimo capitolo, perché mancano i ricorsi che l’ex numero uno della Juventus presenterà in sede sportiva e a questo punto probabilmente anche in sede ordinaria. È possibile però cominciare a tirare le somme. Nel caso di Agnelli, il calcolo è semplice: 16 mesi più i 24 già confermati dal Collegio di garanzia e quindi ormai definitivi, in totale fanno 40 mesi di inibizione. Potenzialmente oltre tre anni di squalifica per il presidente che è stato l’artefice del decennio di successi bianconeri e poi però anche della sua fine. In questo caso parliamo della manovra stipendi, l’altra irregolarità finanziaria contestata ai bianconeri: durante l’emergenza Covid, la Juve aveva annunciato il taglio di alcune mensilità dei salari dei calciatori, ma in realtà queste erano solo state spostate sul bilancio successivo, attraverso “lettere” non depositate nelle sedi ufficiali. Una comunicazione falsa per una società quotata in Borsa (contestata infatti dalla Consob e dalla procura: si attende la decisione sul rinvio a giudizio), oltre che una violazione abbastanza evidente delle norme sportive.
A giugno la Juventus aveva chiuso la partita patteggiando una multa e accettando la stangata nel processo plusvalenze. Agnelli era l’unico a non aver accettato l’accordo, pare perché non volesse sottoscrivere la clausola tombale su futuri contenziosi, cioè l’eventuale ricorso al Tar che infatti è stato preparato. Così è stato l’unico ad andare a giudizio sportivo su questo fronte. La Procura guidata da Giuseppe Chinè aveva chiesto 20 mesi, la corte presieduta dal presidente Carlo Sica ne ha comminati 16 (oltre a 60mila euro di ammenda): il perché sarà scritto nelle motivazioni, evidentemente l’impianto accusatorio è stato accolto quasi in toto. È lui il responsabile della strategia di alterazione dei bilanci che ha finito per travolgere la Juventus e, di fatto, costerà ai bianconeri un anno fuori dalle coppe (con l’ormai imminente esclusione anche dalla Conference League in arrivo dalla Uefa). Nessuno sconto o inciucio: almeno con Agnelli la Federazione è andata fino in fondo. Salvo ribaltoni al Tar e riabilitazioni tardive, l’ex presidente della Juve esce a testa bassa dal calcio italiano, e chissà se e quando ci rientrerà.
Resta però un interrogativo, che poi è anche una profonda incongruenza, di tutta questa vicenda: l’evidente sproporzione fra la severa stangata nei confronti del dirigente e il patteggiamento all’acqua di rose per il club di cui era a capo. Come si conciliano i 16 mesi di squalifica per Agnelli con i 700mila euro (bruscolini per una società di calcio) affibbiati alla Juve per lo stesso capo di imputazione? Una risposta semplicemente non c’è. Se un mese fa la Juventus si era salvata da ulteriori penalizzazioni e sanzioni monetarie davvero afflittive perché i reati contestati venivano giudicati lievi, con lo stesso metro di paragone oggi Agnelli avrebbe dovuto ricevere poche settimane di inibizione, non mesi. Se ancora i giudici avevano considerato la manovra stipendi parte di un unico illecito già sanzionato nel processo plusvalenze, lo stesso avrebbe dovuto valere adesso per Agnelli. Invece ancora una volta ci troviamo di fronte ai classici due pesi e due misure: tutto da una parte, quasi nulla dall’altra. Colpito il dirigente ma graziato il club, squalificato per anni Agnelli e salvata la sua Juventus. La riprova che il patteggiamento con cui la Juve ha chiuso la vicenda ha tanto di politico e molto poco di diritto: che non vuol dire che la Figc abbia protetto la Juve (anzi: alla fine la squalifica di un anno dalla Champions è un danno da quasi cento milioni di euro, una sanzione enorme, e probabilmente congrua per l’accaduto). Solo, che la giustizia è una cosa, la giustizia sportiva un’altra.