“Lui è il tutto”: questa la descrizione che fa di Salvatore Genova un mafioso intercettato dalla Mobile di Palermo. Genova dal 2008 è il reggente del mandamento di Cosa nostra di Resuttana: il 2 marzo 2019, all’uscita del carcere di Opera dove era stato detenuto al 41-bis, ha trovato ad attenderlo il commercialista Giuseppe Mesia, andato fino a Milano per scortarlo durante il viaggio di rientro in Sicilia. Una scena simbolica che fa da prologo all’operazione che lunedì ha svelato rapporti tra professionisti e mafiosi, la cosiddetta zona grigia di Palermo. L’operazione, coordinata dalla Procura guidata da Maurizio De Lucia, ha coinvolto dei veri insospettabili, volti e nomi molto noti in città. Come quello di Giovanni Quartararo, titolare dell’omonima catena di negozi di scarpe. Gli arrestati sono 18, tutti sottoposti a custodia in carcere tranne due, tra cui il notaio Sergio Tripodo, ai domiciliari con l’accusa di tentata estorsione aggravata: “La cosiddetta borghesia mafiosa, che non ha esitato a mettere a disposizione le proprie competenze a vantaggio di Cosa nostra”, sottolinea il questore di Palermo, Leopoldo Laricchia.
“Non c’è bisogno della legge” – “Tu sei Sergio Tripodo”, diceva il notaio a Michelangelo Messina, uno degli arrestati, incaricandolo di andare a parlare a nome suo. Un mandato al gruppo mafioso per andare a imporre lo sgombero dei quattro appartamenti che aveva appena acquistato nei pressi del mercato ortofrutticolo di via Montalbo, occupati da inquilini restii ad andarsene. Messina prendeva in parola il notaio e si rivolgeva così agli occupanti: “Le spiego… Chi è che ha comprato la palazzina, è come se fossi io. Se l’è comprata il mio compare, è lo stesso come se la comprassi io, stop!”. E si presentava: “Noialtri non siamo di quelli “cani selvaggi“, noialtri le persone le aiutiamo quando si comportano bene, noialtri le persone le aiutiamo! Perché siamo stati sempre cosi!”. Un dialogo che prosegue mostrando uno spaccato di quella dimensione parallela allo Stato in cui si muovono i clan. L’inquilino, redarguito dai sodali del notaio, fa notare infatti, che non erano loro a dovere intervenire per lo sgombero: “Però, non dovevate venire voi… io penso che doveva venire la legge”. E Messina prontamente rispondeva: “Lasciala perdere la legge con le persone ci si parla, non c’è di bisogno della legge!”.
“Questo che vende le scarpe è un cornuto” – Ma quello del notaio è solo uno degli episodi. Le indagini della Mobile, guidata da Marco Basile, hanno svelato anche il ruolo di Giovanni Quartararo, un imprenditore molto noto nel capoluogo siciliano, perché titolare (al 50%) dell’omonima catena di negozi di scarpe e borse. Secondo gli investigatori faceva da tramite per gli incontri tra alcuni esponenti dei clan, dai quali aveva ottenuto uno sconto di trentamila euro su un più ampio debito di ottantamila. A parlare attraverso di lui c’erano per esempio Settimo D’Arpa e Massimo Muratore, ai quali “assicurava un segreto canale di comunicazione”. “Comunque questo che vende le scarpe è un cornuto. È infame. Ricordatelo. È traditore”, diceva Antonio Vallone, condannato per avere favorito la latitanza dei fratelli Graviano, parlando di Quartararo con D’Arpa, che a sua volta raccontava: “Mi dice (Quartararo, ndr) l’altra volta a me, dice: “ma tu, minchia, ancora quando me li devi dare quei duemila euro tu?… Lo guardo, “Gianni, appena li ho, te li do”. Cornuto che sei, ti ho chiuso un discorso di ottantamila euro con tremila euro, che non potevi dormire la notte”. Un rapporto tra Quartararo e gli esponenti mafiosi di Resuttana, secondo il gip Fabio Pilato, “fondato anche sulla reciprocità dei rispettivi vantaggi”.
La polleria “impresa mafiosa” – L’operazione di oggi ha portato anche al sequestro le società “Almost Food Srls” e “Gbl Food Srls”, che gestiscono la nota catena di esercizi commerciali con insegna “Antica polleria Savoca”. Secondo la Dda di Palermo, la cui tesi è stata accolta dal gip, le attività economiche sono state controllate dalla mafia “con forme di penetrazione tali da poter rientrare nella nozione di impresa mafiosa”. “Suo padre gli aveva insegnato a essere comunista… e io l’ho trasformato in un imprenditore”, dice il commercialista Mesia parlando con il boss Genova di Benedetto Alterio, titolare della polleria. “Quando io mi sono preso a mio cugino Benedetto, lui era… con il motorino… lo mandavano a prendere sacchi di farina… e gli faceva lo schiavo tredici ore al giorno… Lo stesso discorso, l’altro (il fratello di Benedetto, ndr)”. Nella società dei fratelli Alterio risultava essere stato assunto, dal 9 agosto 2019 al 19 marzo 2020, del tutto fittiziamente, Salvatore Genova: “Ora cambia tutto”, sottolineava il boss una volta uscito di prigione, riferendosi alla gestione della polleria e in particolare all’aumento dei prezzi praticato dal fornitore.
Secondo il gip, il commercialista palermitano Mesia agiva dunque come “vera e propria mente imprenditoriale”. Due giorni dopo, per esempio, proponeva a Genova di acquistare il bar “Chantilly”, sottoposto a sequestro di prevenzione. Il boss accettava, ma raccomandando cautela: “Pulito pulito però, ah!”. Dalle indagini della Mobile, coordinata dagli aggiunti Paolo Guido, Marzia Sabella e dai sostituti Giovanni Antoci e Giorgia Righi, emerge un’economia compromessa dal controllo mafioso anche nel caso delle onoranze funebri, vessate dalle richieste di pizzo. “Ti posso dare 500 euro ora. … siccome ho due morti… fammi incassare, perché devo andare… cremazioni, cose gli devo andare a dare i soldi, perché credito non ne fanno a nessuno”, così il titolare di un’agenzia di onoranze funebri cercando di ritardare il pagamento del pizzo.