Quando a settembre, dopo le elezioni, abbiamo capito che avremmo avuto la prima donna Presidente del Consiglio, qualche femminista ha moderatamente esultato, ponendo l’accento sull’importanza simbolica di avere una donna a capo del governo e che “il soffitto di cristallo se si rompe, si rompe per tutte”. Qualche altra, pur riconoscendole tenacia e determinazione, ha sottolineato la sua estraneità al movimento femminista avendo fatto Meloni un percorso politico individualistico, evitando di legarsi ad altre donne (se non quelle della sua cerchia familiare) percorso completamente slegato ed estraneo a qualsiasi gruppo o collettivo di donne. La maggioranza delle attiviste ha invece pensato che per le donne italiane avere una premier come Meloni era una pessima notizia.
Oggi, a quasi un anno dalla nascita di questo governo di destra possiamo dire che queste ultime avevano colto nel segno.
Da Giorgia Meloni che si professa “sono una donna, sono una madre, sono cristiana” non ci saremmo certo aspettate un’inversione di tendenza da quelle che sono le politiche dell’ estrema destra che ha sempre alimentato campagne d’odio sociale verso le donne che non incarnano il modello caro ai partiti sovranisti: quello della donna come madre e nume tutelare di quella famiglia, rigorosamente “naturale”, composta esclusivamente da un uomo, una donna e dalla prole.
Non ci saremmo nemmeno aspettate che diventasse paladina dei diritti delle donne, quelli relativi alla sessualità e alla riproduzione, o quelli sull’equa rappresentanza nelle Istituzioni, o che si battesse per incrementare l’occupazione femminile mettendo in campo reali e concrete politiche per un lavoro buono, pagato adeguatamente e implementando i servizi di welfare che possono concretamente aiutare le donne a trovare un’occupazione o mantenere quella che hanno dopo la maternità. Ma i silenzi imbarazzanti e assordanti nelle ultime vicende che hanno visto protagonisti il Presidente del Senato e il Sottosegretario alla Cultura, sono veramente troppo, sono uno schiaffo in faccia a tutte le donne, alla dignità delle donne e quelli sono proprio inaccettabili.
Nessun commento da parte della premier sulle frasi che Ignazio La Russa ha rivolto alla ragazza che ha denunciato suo figlio per violenza sessuale, frasi colpevolizzanti e che ne minano la credibilità. Come ci ricorda la giudice, Paola Di Nicola, “è vietata per legge, nella violenza sulle donne, l’inversione della responsabilità dall’autore alla vittima, cioè la vittimizzazione secondaria”.
Non aveva avuto però lo stesso atteggiamento la premier, per una vicenda analoga che aveva visto coinvolto il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo. In quell’occasione Giorgia Meloni scrisse in un post “Ritengo vergognoso e inaccettabile che la denuncia di stupro fatta da una giovane donna finisca in pasto alla curiosità generale perché pubblicata e diffusa su giornali e televisioni. E’ quello che sta accadendo con il caso che riguarda il figlio di Beppe Grillo. Una gogna indegna di una società civile, a prescindere dall’esito giudiziario della questione. E’ una forma di intimidazione e di avvertimento a non denunciare, come dire ‘attenta che se denunci uno stupro finisci sputtanata in mondo visione’ Solidarietà alla ragazza e a tutte le donne che hanno dovuto subire questo schifo”. Inoltre rivolta a Grillo sottolineò come avesse minimizzato una vicenda tanto grave come la violenza contro le donne.
Due pesi e due misure: sulle frasi del compagno di partito che ha sottolineato la lentezza della denuncia e l’uso di cocaina e di altre sostanze da parte della ragazza, stigmatizzandone il comportamento, neanche una parola.
E se la Presidente del Consiglio non è intervenuta, lo ha fatto però la sua ministra alle Pari Opportunità, ma non per disapprovare il comportamento di Ignazio La Russa, bensì per prenderne le difese con queste parole: “La Russa è un padre. Ricordo che è stato colui che ha proposto una manifestazione di soli uomini contro la violenza sulle donne”. Una frase che credo non abbia bisogno di commenti.
Ma in questa vicenda a colpevolizzare il comportamento della ragazza e ad avallare la tesi del Presidente del Senato, ci si mette anche il giornalista di Libero, Filippo Facci, che in un’editoriale scrive: “Le sofisticate scienze forensi non impediscono che alla fine si scontri una parola contro l’altra, e che, nel caso, risulterà che una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa e che perciò ogni racconto di lei sarà reso equivoco dalla polvere presa prima di entrare in discoteca” con buona pace delle norme deontologiche e del Manifesto di Venezia che prevedono raccomandazioni su come raccontare il dramma della violenza sulle donne. E il nuovo corso della Rai avrebbe deciso di affidare a questo personaggio, a settembre, un programma quotidiano su Rai2 dal titolo “I facci vostri”. Complimenti!
Stesso assordante silenzio da parte di Meloni nella vicenda che ha visto protagonista Vittorio Sgarbi al Museo Maxxi di Roma durante la serata inaugurale dell’Estate: parole sessiste e volgari, offensive nei confronti delle donne, inammissibili se pronunciate da qualsiasi uomo, lo sono tantomeno da chi rappresenta le Istituzioni culturali del nostro Paese. Ci si può legittimamente aspettare una presa di posizione, almeno una reprimenda da parte della prima donna Presidente del Consiglio? La richiesta di dimissioni da parte di alcune associazioni rivolta al ministro della Cultura non ha avuto, neanche a dirlo, nessun seguito.
Smarrimento e rabbia sono i sentimenti che pervadono tante femministe in questi giorni perché il lavoro paziente che ogni attivista fa nel proprio contesto per abbattere questo sistema patriarcale, per arrivare ad una reale parità, per combattere stereotipi e modelli culturali sessisti viene vanificato da frasi, atteggiamenti e comportamenti che hanno un’eco e un’enfatizzazione enorme perché provengono dalle più alte cariche dello Stato.