Una nuova corsa all’oro che minaccia mari e oceani e sta allarmando la comunità scientifica internazionale: l’estrazione di metalli e terre rare nelle profondità marine, il cosiddetto Deep Sea Mining. Alla vigilia dell’apertura dei lavori avviati oggi in Giamaica dell’International Seabed Authority (ISA), l’autorità internazionale che governa le attività estrattive minerarie in mare, Greenpeace Italia ha organizzato un flash mob sul litorale pisano, a Vecchiano. Un polpo viola, alto circa otto metri e con tentacoli di sei metri, e una grande stella marina composta da figure umane sono comparsi, insieme a uno striscione con il messaggio ‘Stop Deep Sea Mining’. Questa nuova forma di estrattivismo, infatti, rischia di intaccare in modo irreversibile ambienti unici ed eccezionalmente stabili che giocano un ruolo chiave nel sequestro del carbonio del pianeta, oltre a ospitare una peculiare biodiversità adattatasi nel corso di milioni di anni a vivere in ambienti estremi. Alla riunione internazionale, verrà messa sul tavolo la possibilità di avviare le attività estrattive minerarie in mare. E, considerata la crescente domanda di materie prime, le attività potrebbero partire già nel 2024.
Greenpeace: “L’ultima follia umana” – “Le estrazioni in acque profonde sono l’ultima follia umana che deve essere fermata sul nascere, con una moratoria internazionale” spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. Al meeting parteciperà anche l’Italia, che tuttavia finora è rimasta silente sul Deep Sea Mining, mentre anche nel Mediterraneo si registrano i primi interessamenti da parte di aziende italiane (Saipem e Fincantieri) all’avvio di attività estrattive negli abissi. “Questi ambienti marini profondi, in gran parte ignoti e non ancora intaccati dalle attività antropiche – aggiunge Ungherese – rischiano infatti di essere sacrificati sull’altare di una presunta penuria di materie prime in settori come quello dell’elettronica, delle comunicazioni e della produzione di energia”. Uno scenario che appare sempre più plausibile, nonostante l’Easac (il Consiglio consultivo scientifico delle accademie europee, ndr) abbia stimato che entro il 2050 tra il 40 e il 77% dei metalli necessari alle tecnologie verdi in Europa potrà essere ottenuto dal riciclo.