Togliere ai poveri e dare ai ricchi. Si può riassumere così l’impatto delle decisioni prese dal governo Meloni su imposte, oneri generali di sistema e altri sostegni contro i rincari. Altro che scelte di “giustizia sociale“, come le aveva definite la premier a gennaio per smarcarsi dalle polemiche sulla mancata proroga del taglio delle accise. A descrivere i risultati della revisione al ribasso degli aiuti introdotti nel 2022 da Draghi è l’Ufficio parlamentare di bilancio, che nell’ultimo Rapporto sulla politica di bilancio dedica un capitolo alle conseguenze dell’inflazione sulle diverse fasce di reddito. I cui consumi sono ovviamente molto differenti: le fasce più basse spendono in proporzione di più per alimentari, abitazione e trasporti e dunque, in assenza di interventi pubblici, sono più colpite dagli aumenti dell’energia e del “carrello della spesa” che hanno segnato l’ultimo anno e mezzo.
La conclusione a cui arriva l’organismo indipendente che vigila sulle previsioni di finanza pubblica e sulle conseguenze dei provvedimenti governativi è che nel 2023, considerando gli interventi messi in campo finora dall’esecutivo, “viene meno l’effetto redistributivo delle politiche di mitigazione osservato nel 2022″ e “l’aumento dei prezzi dei beni non energetici e la ricomposizione del mix di politiche compensative producono effetti debolmente regressivi sulla spesa”. Tradotto: i nuclei più tartassati sono quelli con redditi più bassi. E infatti, come mostrano i grafici inseriti nel documento, chi sta nel primo decile – i meno abbienti – nel 2023 vede le proprie uscite aumentare del 6,9% e chi sta nel secondo del 6,1%, a fronte di un onere che si ferma al 5,6% per i più benestanti (decimo decile).
Il paradosso è che mentre i prezzi dell’energia (barre color magenta nel grafico sotto), molto diminuiti rispetto all’anno prima, contribuiscono a ridurre gli esborsi determinati ora soprattutto dagli altri beni (in rosa nel grafico), la variazione degli sconti tariffari (in grigio nel grafico) e dei trasferimenti monetari (in blu) risulta sottrarre risorse alle famiglie peggiorando la loro situazione. Con un impatto maggiore, in proporzione, per quelle più povere. Insomma: l’intervento dello Stato quest’anno ha ridotto il reddito disponibile invece che dare un po’ di respiro. Nel 2022, al contrario, l’effetto della crescita dei prezzi per le fasce più basse era stato contenuto in maniera sostanziale dalle misure di sostegno, che avevano ridotto i rincari a 2,6 punti per il primo decile contro i 4,9 di maggior spesa subìti dall’ultimo decile.
Al risultato contribuiscono, spiega l’Upb, “l’aumento della spesa energetica determinato di fatto dal ridimensionamento delle agevolazioni tariffarie che è maggiore per i decili più bassi”, il “minore effetto di riduzione dei prezzi energetici, che agisce meno sui decili più poveri”, “il venire meno della protezione offerta dai trasferimenti monetari sotto forma di indennità una tantum (particolarmente rilevante per i decili più bassi) che non è compensato dai nuovi maggiori benefici derivanti dalle misure considerate nel 2023 sullo stesso segmento di popolazione”, cioè il tanto vantato incremento della decontribuzione e la rivalutazione delle pensioni.
Il graduale ritiro degli aiuti sulle bollette era ovviamente inevitabile ed è stato consigliato dai maggiori organismi internazionali. Che però invitavano anche a mantenere i sostegni per le fasce più deboli. La riduzione delle accise sui carburanti, in particolare, era molto regressiva perché come aveva fatto notare lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio andava soprattutto a vantaggio dei contribuenti più ricchi che tendono ad avere auto più potenti. Il punto è che il governo Meloni, invece di bilanciare meglio le misure privilegiando i trasferimenti riservati ai lavoratori con redditi medio bassi, è intervenuto con l’accetta. L’ultimo bonus una tantum (150 euro per chi avesse redditi inferiori a 20mila euro lordi annui) è stato quello varato subito prima delle elezioni da Draghi. I cui interventi di sostegno temporaneo hanno controbilanciato in senso progressivo l’effetto della riforma di aliquote e scaglioni Irpef, che aveva avvantaggiato soprattutto i redditi medio-alti e addirittura aumentato il rischio di povertà.
L’analisi è stata condotta con il modello di microsimulazione dell’Upb alimentato dall’indagine Istat sulle spese delle famiglie, integrata con le informazioni amministrative fiscali, contributive e assistenziali.