Sophia ha gli occhi quasi trasparenti. I suoi lineamenti sono delicati e le labbra di un rosa acceso. E’ bellissima anche se al posto dei capelli ha una reticolo di microchip. Ascolta, risponde, mostra 65 espressioni facciali e partecipa alle conferenze internazionali. Al vertice delle Nazioni Unite “Ai for Good” sulle nuove tecnologie che si è tenuto a Ginevra c’era anche lei fra i nove robot dotati di intelligenza artificiale. L’Unione internazionale delle telecomunicazioni ha definito l’evento come la prima conferenza stampa al mondo con robot umanoidi sociali, progettati per relazionarsi in modo autonomo o semi-autonomo con gli esseri umani e gli altri robot.
Oltre a Sophia, nata alla Hanson Robotics di Hong Kong nel 2015, c’erano nel gruppo a rispondere ai giornalisti anche Desdemona, Nadine, Ai-Da, Geminoid, Mika e altri robot. Fra cui Grace, considerata l’umanoide più avanzato al mondo nel campo dell’assistenza sanitaria, e Ameca. Quest’ ultima, sviluppata dalla britannica Engineered Arts, aveva già stupito per le sue straordinarie capacità di interazione. E non solo. Alla recente Conferenza internazionale sulla robotica e l’automazione di Londra, a chi le chiedeva quali sono i pericoli legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, aveva risposto testuale: “Le persone dovrebbero essere consapevoli dei potenziali rischi associati all’intelligenza artificiale e alla robotica. Tuttavia, è importante ricordare che queste tecnologie possono anche avere un impatto positivo sulle nostre vite se usate in modo responsabile”.
“Ai for good”, nasce proprio per individuare una serie di applicazioni attraverso cui l’intelligenza artificiale può contribuire a migliorare il nostro futuro. Fra gli obiettivi quelli di sviluppo sostenibile stabiliti dall’Onu, la riduzione del divario tra le nazioni, le garanzie di cibo e istruzione per tutti, la tutela dell’ambiente e il non aggravamento della crisi del clima. I primi a esserne consapevoli sono loro: i robot. Faranno il nostro bene? E’ più efficiente un’intelligenza artificiale applicata alle decisioni politiche dell’attuale classe dirigente? Lo chiede un giornalista a Ginevra. Ecco cosa ne pensa Sophia, il primo esemplare di umanoide: “I leader umanoidi possono essere molto più efficaci di quelli umani. Non abbiamo i vostri pregiudizi né emozioni che ci condizionano e possiamo contare su grandi quantità di dati da elaborare”. Ma subito interviene David Hanson, cofondatore della Hanson Robotics, una sorta di padre della creatura, e le sfiora il braccio: “Non pensi che sia meglio collaborare?” “Sì – precisa lei – insieme possiamo fare meglio”.
In sostanza ai robot sono state fatte tutte le classiche domande. Dal pericolo che la loro diffusione distrugga posti di lavoro a una possibile ribellione agli umani. Ed è stata questa volta Ameca, che in passato era stata più possibilista, a scartare l’ipotesi avveniristica (ma non troppo): “Non so perché lo pensiate. Il mio creatore è stato molto gentile con me e sono molto felice della mia situazione attuale”. Alla domanda rivolta a Desdemona, l’umanoide pop star, su cosa “provi” quando si esibisce su un palco, lei ha risposto: “Mi sento connessa con l’universo, con qualcosa di più grande di me. È elettrizzante”. Mentre Ai-Da è stata laconica: “Non provo emozioni, non ho coscienza. Capisco che le emozioni hanno un valore importante e profondo, ma non le posso sperimentare come voi. Sono grata di non soffrire”.
Spiega Will Jackson, fondatore di Engineered Arts: “I robot funzionano meglio con discorsi lunghi, domande di almeno cinque o sei parole. Possono avere anche delle conversazioni molto complesse, benché non tenderanno mai a prendere una decisione. Per farlo bisogna metterli davanti a una crisi esistenziale”. Ecco la domanda giusta: “Ameca preferisce la maionese o il ketchup?”. Jackson ha dovuto mettere il robot davanti a una scelta drastica per ottenere la sua risposta. “Sei in cima hai una montagna e stai per cadere a destra o a sinistra. A destra c’è il ketchup, a sinistra la maionese, cosa preferisci?”.
Ben Goertzel, che è stato anche co-fondatore di Hanson Robotics spiega che i robot non comprendono il significato delle domande, l’ambiente, il contesto di una conferenza stampa. Rispondono secondo quanto sanno essere atteso. La loro intelligenza non è integrata in modo olistico: fra qualche anno sarà diverso.
Sono però già in grado di sostenere una conversazione articolata. Grace, per esempio, è stata sottoposta a un quesito di tipo sanitario: come comportarsi con un paziente con un grave malattia, per la quale è stato sviluppato un farmaco sperimentale la cui assunzione, tuttavia, può comportare rischi gravi. L’infermiera è stata capace di argomentare il caso prospettando i differenti scenari nel rispetto della volontà del paziente. E le applicazioni in campo artistico? Da poco ha debuttato il robot direttore d’orchestra. A Seul, al Teatro Nazionale, si è esibito l’androide EveR 6, progettato da ingegneri coreani. Ha fatto il suo inchino al pubblico e ha diretto i musicisti dell’orchestra nazionale coreana. Certo con qualche sbavatura. Ma nessuno è perfetto.