Dal 2020 al 2023 la mancata entrata in vigore della Plastic Tax, introdotta in Italia con la legge di bilancio 2020, ha sottratto alle casse pubbliche in termini di gettito fiscale circa 1,2 miliardi di euro, considerando un’imposta di 0,45 euro per chilogrammo di plastica da imballaggi, ossia quella stabilita al termine di un travagliato iter parlamentare. Considerando, invece, la versione originale della Plastic Tax, quella che prevedeva un’imposta di un euro per chilogrammo di plastica da imballaggi, negli ultimi quattro anni sono stati persi oltre 6 miliardi di euro di gettito fiscale. È la stima a cui arriva Greenpeace nel report ‘I posticipi della Plastic Tax’. Al centro l’imposta ‘della discordia’ che, giova ricordare, va applicata “esclusivamente sul consumo dei manufatti in plastica monouso utilizzati per l’imballaggio delle merci e dei prodotti alimentari (i cosiddetti MACSI)”. Nel report si ricorda come “lo Stato ha favorito un settore industriale che continua a realizzare grandi profitti’. Ed è questo un altro aspetto. I rinvii della Plastic tax sono dovuti alle pressioni dei settori industriali maggiormente coinvolti, che hanno sempre parlato di crisi del settore dovute al contesto esterno che non permettevano all’industria di farsi carico di una nuova tassa. “Ma i parametri Istat (indice produzione industriale, margine operativo lordo e produzione industriale venduta) – spiega Greenpeace – indicano che in questi anni il settore degli imballaggi in plastica nel nostro Paese ha fatto registrare nel complesso risultati positivi, nonostante la crisi economica innescata dalla pandemia”. Una tendenza analoga a quella osservata dall’Ocse a livello globale. Nel frattempo, però, il continuo posticipo della Plastic Tax sta determinando “costi sostanziali per l’ambiente, per il sistema Paese e anche per le imprese stesse”.
I continui rinvii – Molte associazioni di categoria hanno sostenuto che la plastic tax avrebbe avuto ripercussioni negative per l’intero settore della plastica in Italia. E così l’imposta, che sarebbe dovuta entrate in vigore a luglio 2020, in piena pandemia, è stata posticipata due volte dal Governo Conte 2 (prima al 1 gennaio 2021, con il decreto Rilancio e poi al 1 luglio 2021, con la Legge di Bilancio 2021). Il Governo Draghi ha continuato a rinviarla con il decreto Sostegni bis, prima a gennaio 2022 e, ancora, a gennaio 2023 con la recente Legge di Bilancio 2022. Il Governo Meloni ha infine introdotto, nel disegno di Legge di Bilancio per il 2023, un’ulteriore proroga a gennaio 2024. Se non ci saranno ulteriori proroghe, la Plastic Tax partirà con circa quattro anni di ritardo.
Il gettito perso – Inizialmente la Plastic Tax prevedeva un’imposta pari a un euro per chilogrammo di materia plastica contenuta negli involucri di contenimento, protezione, manipolazione o consegna delle merci o dei prodotti alimentari. Considerando le varie deroghe già previste della prima versione (come plastiche compostabili, prodotti esportati, Macsi fabbricati con polimeri riciclati, dispositivi medici e i materiali adibiti al contenimento e alla protezione dei preparati medicinali) per stimare il gettito fiscale della prima versione della misura sono state utilizzate le previsioni di immissione al consumo degli imballaggi in plastica contenuti nella Relazione generale consuntiva 2018 del Conai. Se la Plastic Tax fosse stata introdotta da aprile 2020 (con prima rata riscossa a luglio 2020) e nella versione originale della norma (un euro per chilogrammo di materia plastica) si stima che tra il 2020 e il 2022, il gettito fiscale sarebbe stato di circa 4,4 miliardi di euro. Considerando anche il 2023, dato che il Governo Meloni ha rinviato l’entrata in vigore al 2024, il gettito fiscale ‘perso’ supera i 6 miliardi di euro. In seguito ai passaggi parlamentari della legge di bilancio 2020, però, la Plastic Tax è stata ridotta a 0,45 euro al chilogrammo e sono state apportate ulteriori modifiche alla norma. Escludendo per esempio, tutti i dispositivi medici e i Macsi adibiti al contenimento e alla protezione di preparati medicinali (nella versione originale l’esclusione era limitata alle siringhe). Considerando la formulazione attualmente in vigore le stime contenute nella legge di bilancio 2020 sono comunque significative: tra il 2020 e il 2022 il gettito sarebbe stato, comunque, di circa 900 milioni di euro. Considerando anche l’anno 2023 si arriva a 1,2 miliardi in quattro anni. Nella relazione tecnica alla legge di bilancio 2020, infatti, si stima per il 2023 un gettito fiscale (perso) di 305,8 milioni, valore vicino a quello contenuto nella relazione al disegno di legge di bilancio 2023, nel quale si parla di una riduzione di gettito di 277 milioni di euro nel 2023, dovuti all’ennesimo rinvio. I continui rinvii sono stati motivati con la profondità della crisi economica in atto: l’imposizione della tassa avrebbe penalizzato settori già pesantemente colpiti dalla recessione. Ma è davvero così?
Su chi incide davvero la Plastic Tax – L’industria della plastica in Italia, seconda in Europa alle spalle della Germania per domanda di materie prime (polimeri) da trasformare in prodotti, conta oltre 11mila imprese attive, con un fatturato di oltre 30 miliardi di euro e circa 110mila addetti. Ma l’ambito di applicazione diretto della Plastic Tax non riguarderebbe l’intera industria, ma solo i fabbricanti di plastica destinata al monouso (MACSI). Per stimare la platea di imprese interessate dal provvedimento, Greenpeace ha analizzato le aziende che operano con due specifici codici Ateco, classificazione adottata dall’Istat: quelle del settore della fabbricazione di materie plastiche in forme primarie e della fabbricazione di imballaggi in materie plastiche. Secondo l’Istat, nel primo al 2020 erano attive 310 imprese che impiegavano oltre 13mila addetti, nel secondo circa 1.400 imprese nel settore degli imballaggi in plastica che occupavano oltre 31mila addetti, per un totale di 1.711 aziende e 44.883 occupati nei due settori principalmente interessati dall’applicazione della misura.
Settori in crisi o una scusa per rinviare l’imposta? – Secondo i dati di Conai, nel 2020 gli imballaggi in plastica hanno subìto una battuta d’arresto dovuta alla recessione indotta dalla pandemia, ma è sempre Conai a stimare che, già nel 2023, l’immesso al consumo dovrebbe tornare ai livelli del 2019 (2,31 milioni di tonnellate) arrivando a 2,32 milioni di tonnellate. Significativi i dati Istat sulla produzione industriale il cui andamento, in entrambi i settori, non sembra correlato esclusivamente alla pandemia tra il 2020 e il 2021, mentre è la crisi energetica e delle materie prime ad aver rappresentato un chiaro fattore recessivo nei due settori, anche se con peso diverso. Nel biennio preso in esame, il settore degli imballaggi in plastica ha fatto registrare una performance nel complesso positiva, mentre quello delle materie plastiche in forme primarie ha subìto una contrazione dovuta alle tendenze negative dell’industria manifatturiera. Nel 2021, entrambi i settori hanno sperimentato un rimbalzo della propria performance economica, tendenza interrotta nel 2022, probabilmente in ragione dell’impatto della crisi energetica e delle materie prime. “Dati coerenti con le prime evidenze identificate dal 2022 Global Plastics Outlook dell’Ocse – spiega Greenpeace – secondo cui è improbabile che l’impatto netto dei lockdown, pur difficile da quantificare, sia stato significativo nei confronti del settore del packaging”. Da qui la deduzione: “L’introduzione della Plastic Tax nei tempi originariamente previsti, avrebbe riguardato ambiti del settore della plastica che, particolarmente nel caso degli imballaggi in materie plastiche, hanno potuto riprendersi rapidamente dalla pesante battuta d’arresto indotta dal Covid-19”.
Le occasioni mancate – Il problema non è solo il gettito fiscale perso. Secondo Greenpeace “l’entrata in vigore dell’imposta avrebbe potuto preparare il settore a una graduale riconversione produttiva”. Per poter incentivare investimenti in questa direzione, la norma prevedeva anche un credito d’imposta pari al 10% delle spese sostenute nel 2020 per l’adeguamento tecnologico finalizzato alla produzione di plastica compostabile. Non solo. Basti pensare all’entrata in vigore della Plastic Tax europea, il cui calcolo è basato sulla quantità di imballaggi in plastica che ogni nazione non riesce a riciclare (0,8 euro per chilogrammo) e che costa all’Italia, secondo le stime della Commissione UE, circa 800 milioni di euro. “Costi che oggi pesano solo ed esclusivamente sulle casse pubbliche – conclude Greenpeace – e che potevano essere in parte coperti dalla Plastic Tax italiana”.