Una riunione di poco più di un’ora a Palazzo Chigi convocata d’urgenza per approvare 10 modifiche sui 27 obiettivi che avrebbero dovuto essere raggiunti entro il 30 giugno per poter ricevere la quarta rata del Pnrr. Di cui il governo Meloni non ha ancora chiesto il pagamento perché l’Italia non ha rispettato diverse milestone e target, da quella sull’aggiudicazione di tutte le gare per gli asili nido alle stazioni di ricarica a idrogeno. È così che la premier e il ministro per il Pnrr Raffaele Fitto cercano di uscire dall’angolo, annunciando dopo la cabina di regia che i cambiamenti sono stati “condivisi” con la Commissione europea e che “nei prossimi giorni” si potrà dunque chiedere la nuova rata da 16 miliardi senza alcun definanziamento. Bruxelles dal canto suo ha specificato di aver solo “ricevuto la proposta” italiana: la portavoce non ha parlato di modifiche già concordate. Nel frattempo ancora si attende il versamento della terza che ne vale 19 ed è bloccata da febbraio perché Bruxelles ha contestato diversi progetti.
Dopo gli attacchi delle opposizioni, Fitto in conferenza stampa ha negato che i ritardi siano attribuibili al governo Meloni, ribadendo che le decisioni sul piano sono state prese dai predecessori, e ha sostenuto che il 30 giugno è un termine “indicativo” e non “obbligatorio”. “Non ho ancora ascoltato un riferimento preciso a un ritardo che riguarda il nostro governo attribuibile a noi e che sia oggettivo”, ha polemizzato il ministro. “Mi farebbe molto piacerebbe ascoltare delle critiche di merito. Al momento tre Paesi hanno chiesto il pagamento della terza rata, Spagna, Italia e Grecia, e nessuno ha chiesto quello della quarta. Se noi siamo in ritardo, gli altri che situazione hanno?”. Fitto ha poi anticipato che il 18 sarà in Parlamento per presentare l’ultima relazione semestrale. Pd e Avs hanno però formalizzato la richiesta che a tenere un’informativa sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Che non andrà, stando a fonti di governo.
Non ci sono garanzie, ha ammesso il ministro, che i 16 miliardi arrivino entro la fine dell’anno, posto che ora si apre la fase di verifica da parte dei funzionari europei. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in mattinata non aveva nascosto un certo nervosismo riguardo all’andamento dei conti se quei soldi non entreranno in cassa, riconoscendo che “per quanto riguarda l’andamento del fabbisogno di cassa dello Stato, se la terza rata fosse entrata prima sarebbe molto meglio ma stiamo gestendo la situazione, confidando che questa benedetta rata venga somministrata. Abbiamo degli obiettivi che abbiamo sempre rispettato e che rispetteremo perché sono quelli che assunti a livello internazionale ed europeo e che fanno bene alla finanza pubblica che deve essere responsabile. Faremo il deficit che abbiamo previsto di fare”.