Il lungo braccio di ferro per la nomina del commissario alla ricostruzione della Romagna dopo l’alluvione ne ha già compromesso i tempi. Si corre il rischio che le piogge autunnali si rovescino su un territorio ancora in dissesto, aumentando i danni. Fatta solo pochi giorni fa la scelta – ricaduta sul generale Figliuolo – resta ancora un largo margine di incertezza: si tratta infatti di una nomina a tempo che scadrà tra un anno. Con tutta evidenza, la ricostruzione non potrà concludersi in un anno. Tanto più che è ancora irrisolta la questione dei fondi stanziati. Con il decreto del 6 luglio – oltre un mese e mezzo dopo l’alluvione del 15 maggio – il governo Meloni ha messo a disposizione 2,5 miliardi di euro, a fronte dei quasi nove miliardi di danni stimati dalla Regione.

Emergenza e ricostruzione dei territori alluvionati dell’Emilia-Romagna sono le due facce della medesima medaglia. Da un lato, infatti, nell’immediato bisognerà rendere i territori di nuovo vivibili per chi ci abita, ci lavora e gestisce attività economiche e culturali; e bisognerà letteralmente ricostruire un paesaggio, che in larga parte è stato travolto dalla furia dell’acqua e sbriciolato da migliaia di frane. Dall’altro lato, questa ricostruzione dovrà guardare ai tempi medio-lunghi con l’obiettivo di rendere il territorio capace di resistere alle conseguenze dei fenomeni meteo estremi generati dall’accelerazione dei cambiamenti climatici. E, non da ultimo, ci sarà da “riparare” anche l’anima di chi è rimasto isolato per poche ore o interi giorni, scioccato dal livello dell’acqua che cresceva dentro e fuori casa.

“Non si potrà costruire tutto come prima”, hanno dichiarato alcuni amministratori locali, consapevoli che in passato si è costruito anche là dove sarebbe stato consigliabile non farlo. E bisognerà davvero “dare spazio” ai fiumi seguendo i dettami delle politiche di rinaturazione dei corsi d’acqua, che non vanno trattati come meri “tubi d’acqua” ma vanno considerati ecosistemi complessi dei quali si deve tutelare la biodiversità. In tempi di siccità, poi, sarà bene studiare interventi non solo di laminazione delle piene e di esondazioni “controllate”, ma anche di conservazione degli eccessi di precipitazioni da utilizzare nei periodi sempre più frequenti di magra.

Sono stati questi i temi al centro del convegno “Emilia-Romagna dopo l’alluvione. Riflessioni su clima e territorio” che ho organizzato come capogruppo di Europa Verde. Un’iniziativa pensata per dare un contributo di idee, competenze e testimonianze per il lavoro di ricostruzione resiliente dei territori colpiti. E non solo di quelli: Ispra ha stimato che l’Emilia-Romagna è la seconda regione in Italia dopo la Calabria per esposizione al rischio idrogeologico.

L’esperienza tragica dell’alluvione ci ha mostrato a cosa può portare questa fragilità, combinata al mutato scenario indotto dai cambiamenti climatici che fanno aumentare i fenomeni meteorologici estremi, in un’alternanza tra siccità e precipitazioni intensissime concentrate in poche ore. La lezione da trarre è che le politiche urbanistiche vanno ripensate per improntarle prioritariamente alla prevenzione del rischio, a cominciare da una reale riduzione del consumo del suolo e della sua impermeabilizzazione. Non bastano gli slogan sul consumo di suolo zero se poi, al contrario, di deroga in deroga si continua a costruire come se nulla fosse.

Da decenni noi Verdi richiamiamo l’attenzione di amministratori pubblici e istituzioni sulla necessità di combattere i cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas serra e di approntare piani di adattamento ai cambiamenti climatici per attutirne l’impatto. Altro che nutrie e piante da sradicare dagli alvei dei fiumi… Eppure siamo stati usati come capri espiatori degli errori fatti da chi, al governo, non ha ancora dato al Paese una Legge sul clima e un Piano nazionale integrato clima energia (Pniec) che rispettino gli obiettivi europei, né un Piano – approvato e finanziato – di adattamento.

In questa desolazione, una conferma: la tenuta della popolazione. Anche nelle ore più drammatiche, gli emiliani-romagnoli si sono rimboccati le maniche, senza piangersi addosso. È il pragmatismo emiliano-romagnolo che chiunque abbia frequentato queste terre ha imparato a conoscere. Nondimeno è stato commovente l’aiuto delle migliaia volontari accorsi da tutt’Italia a dare una mano.

Ora non sarà facile ripartire. Le campagne allagate, i raccolti perduti, le frane, le strade distrutte, gli allevamenti zootecnici che hanno deciso di chiudere, le montagne di rifiuti stanno lì a dimostrarlo. Una ragione in più per investire la fatica di ricostruire a favore di un rapporto con il territorio e l’ambiente davvero capace di futuro.

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