Lo scrittore ceco in fuga dal regime sovietico, ed esiliato in Francia dal 1981, ha raggiunto fama internazionale con una manciata di romanzi tra gli anni Settanta e Novanta basandosi su una narrativa giocosamente filosofica e pensierosa
Milan Kundera, l’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere è morto. Lo scrittore di origine ceca, ma naturalizzato francese dal 1981, aveva 94 anni. “Romanziere non scrittore, prego”, aveva puntualizzato più volte, prima di rinchiudersi in un silenzio durato e mai infranto per oltre trent’anni. Tante le ispirazioni (Musil su tutti, probabilmente), nessun epigono letterario (e per forza), e nessun figlio biologico peraltro, Kundera è stata una di quelle personalità letterarie del Novecento che ha inteso il romanzo come “mezzo di conoscenza totale, estetico e non teorico”, vivificando con inebriante audacia compositiva il legame tra indipendenza creativa e afflato politico. Qualcuno ricorderà lo shock di quell’incipit legato a Nietzsche ne L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984). Il concetto dell’eterno ritorno che si fonde con la coppia oppositiva pesantezza/leggerezza e dopo poche righe il condensato di questa apertura sorprendente finisce dentro la storia di Tomas e Teresa, due dei quattro protagonisti, assieme a Sabina e Franz (e la cagna Karenin), di un intreccio amoroso libertino e vivace, travolto e sconvolto dall’invasione sovietica di Praga nel ’68 e diramato in mille fughe oltre confine.
Una presenza forte quella del romanziere nel tirare i fili della narrazione espressa e sviluppata da Kundera nel corso di una produzione letteraria quantitativamente risicata e mai eccessivamente strombazzata. Una decina di romanzi in oltre quarant’anni di carriera tradotti in 44 lingue, in Italia pubblicati tutti da Adelphi (L’insostenibile leggerezza dell’essere ha qualcosa come 80 ristampe!), Kundera ha sempre scherzato sul fatto di essere nato il 1 aprile (“ha un significato metafisico”). Originario di una famiglia dell’élite colta di Brno, padre compositore e insegnante di pianoforte, Milan stesso si cimenterà nella musica, ma come scrive su Le Monde Martine Boyer-Weinmann, “la portata dell’educazione musicale di altissimo livello si trova sia nel principio compositivo che nei leitmotiv centrali che irrigano l’opera di Kundera: la riflessione su ritmo e accelerazione, l’accostamento dei tempi, la polifonia, lo stile legato e staccato, la fuga e la coda, la lezione perfettamente assimilata della modernità musicale, in particolare Schoenberg”.
Prima di diventare romanziere Kundera ebbe un rapido ma intenso idillio per l’ambiente della nova vlna, la Nouvelle Vague ceca, affermatasi negli anni sessanta con i primi film di Milos Forman, Jiri Menzel e Juraj Herz. Kundera collaborò all’adattamento cinematografico de Lo scherzo ( 1968) e approvò quello che Hynek Bocan proponeva di un racconto dal suo raccolta Risibles amours (1970), ma da lì in avanti con l’arte cinematografica fu rottura totale e quasi odio. Tanto che nel 1988 rifiutò l’adattamento del suo libro (ci pensò l’instancabile bunueliano Jean-Claude Carriere) per quello che divenne un film diretto da Philippe Kaufman con gli ancora giovani Daniel Day-Lewis e Juliette Binoche. “Il romanziere demolisce la casa della sua vita per costruire, con le pietre, la casa del suo romanzo” risuonava uno degli aforismi più noti dello scrittore ceco-francese. E per questo è difficile cancellare il legame intimo e personale con la storia che si dissolve nell’atto dello scrivere.
Fin dai primi tre romanzi – Lo scherzo, La vita è altrove, Il libro del riso e dell’oblio -, scritti quando ancora non si trasferì in Francia, prima a Rennes poi a Parigi, Kundera attinge con forza alle storture umane, politiche e morali del totalitarismo sovietico ma senza mai evidenziarle con la penna rossa. È nel percorso del costruire ed far parte della storia affrontata, nell’autoimmersione del romanziere in quello che finisce anche in alcuni titoli quasi una sorta di realismo magico, che Kundera si gioca la carta di un’autonomia letteraria che in una prima fase sembra accostarlo più a un Garcia Marquez che al corrucciarsi grigio e contrito della cultura mitteleuropea. È però con il pimpante e torturante disegno amoroso de L’insostenibile leggerezza dell’essere che la sua poetica si fa nitida e intensa, una “concezione ipercontrollata dell’opera” che racchiude sì il filo tragico della storia ma che riesce a farsi impellente e giustificata “leggerezza” dell’essere, quasi fosse il valore assoluto dell’illusione esistenziale a meritare sempre il primo piano di ogni racconto.
Al successo mondiale del romanzo dell’84, che Kundera scrive oramai da cittadino francese, seguono L’immortalità, L’identità e L’ignoranza. Titoli che impongono una svolta narrativa meno esplicita nella costruzione classica della trama al seguito però di un’inclinazione filosofica che si fa più invadente e impellente come ne L’immortalità (che in realtà è parte del trittico Il libro del riso e dell’oblio e L’insostenibile…) dove al trio di personaggi protagonista (Agnes, il marito Paul e la sorella Laura) del canovaccio di base descritto nel primo capitolo si aggiungono altri sei capitoli dove spuntano la presenza di Goethe e Hemingway ma soprattutto l’irruzione di Kundera stesso pronto a ricucire trama e ordito oltre l’apparenza di una regolare narrazione. Nei 53 capitoli de L’ignoranza si afferma in modo preciso uno dei giudizi peculiari dati alla scrittura di Kundera, quello di “narrativa pensierosa”, qui inclinata su l’odissea omerica di Irina, prima esiliata in Francia proprio come Kundera dopo il ’68 e infine ritornata in patria nel post ’89.
Anche se l’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere, nonostante un continuo rimodellare e riflettere sulla questione identitaria (nel ’79 il regime comunista ceco gli tolse la cittadinanza), non farà mai ritorno a Brno e nella Repubblica Ceca per il resto della vita. Nel 2008 sul settimanale Respekt venne pubblicato un articolo dove da un rapporto della polizia Kundera risultava aver agito da spia per conto del governo comunista negli anni cinquanta denunciando un agente disertore. Lo scrittore smentì ogni illazione e minacciò di denunciare il settimanale, mentre una dozzina di nobel per la letteratura vennero in aiuto del collega ceco, difendendolo da ogni accusa. Tra questi Nadine Gordimer, Orhan Pamuk, JM Coetzee. Lo stesso Kundera un anno dopo, nel 2019, firmò una petizione per il rilascio del regista Roman Polanski, arrestato in Svizzera in relazione ai reati di droga e sodomia del 1977. Kundera lascia la seconda moglie Vera Hrabankova sposata nel 1967.