di Marco Bazzoni*

Non passa giorno, oramai, che non ci siano dei morti sul lavoro. Venerdì è morto Dabo Mahamadou, un operaio di 34 anni, travolto da un camion nel piazzale dello stabilimento in cui lavorava, una ditta di trasporti a Vignolo, in provincia di Cuneo.

Troppe le famiglie che piangono perché un loro caro non fa più ritorno a casa, e tanti di questi sono giovani… tanti i nostri cari costretti ancora a lavorare senza la certezza e la sicurezza di cambiarsi a fine turno e tornare a casa. Sono mariti, padri, madri, figli che varcano l’uscio per lavorare, per assicurare un presente e un futuro dignitoso a sé e alla propria famiglia, contribuendo allo sviluppo del nostro Paese, un Paese che non fa abbastanza per proteggerli.

Occorre un coordinamento delle molte istituzioni che si occupano di vigilanza e prevenzione. Una migliore formazione e soprattutto addestramento, a cominciare dalla scuola, e il rafforzamento del ruolo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Ancora sono tanti, troppi, a chiamare questi morti con il termine ipocrita, “morti bianche”. Un termine che andrebbe abolito, perché è un insulto ai familiari e alle vittime del lavoro. Non c’è mai nulla di bianco in una morte sul lavoro. Come dicevo nella mia poesia, le chiamano “morti bianche” perché l’aggettivo bianco allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’accaduto, invece la mano responsabile c’è sempre, a volte più di una. “Le chiamano ‘morti bianche’, ma non lo sono mai”.

Con molta fatica, cerco di sensibilizzare su queste tragedie, monitorando le tante, troppe morti sul lavoro che ci sono ogni giorno in Italia. Molto spesso si parla sempre e solo di numeri, quando muore un lavoratore, ma vorrei chiedere di non fermarsi alla fredda statistica. Sono persone e non numeri, che avevano dei familiari, degli affetti, degli hobby, una vita. E’ giusto ricordarlo, perché solo così è possibile restituirgli un po’ di dignità.

Oltre alla tante, troppe morti sul lavoro, ci sono le tragedie di chi rimane gravemente infortunato e invalido, di cui si parla troppo poco. Pure io, come tanti, ho finito le parole di fronte a queste stragi sul lavoro, ma non ho perso la capacità di indignarmi. Quella dobbiamo sempre mantenerla, altrimenti rimane solo il silenzio di fronte a queste tragedie, e questo è inaccettabile.

* operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, Barberino Tavarnelle (Firenze)

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