“Un incendio ha completamente distrutto all’alba la Venere degli stracci, l’installazione di arte contemporanea realizzata dall’artista Michelangelo Pistoletto. Le fiamme hanno sciolto la statua e ridotto in cenere gli indumenti vecchi che la ‘adornavano’. In piazza Municipio a Napoli, per domare le fiamme, sulla cui origine si indaga, vigili del fuoco e polizia municipale”. La notizia, rilanciata questa mattina dall’Ansa, era stata pubblicata circa un’ora prima da ilmattino.it.
Una notizia che sta avendo grande eco. Di certo più di quanto ne abbiano, nella maggior parte dei casi, notizie per così dire “culturali”. Senza ombra di dubbio più di quanto ne abbia avuto in occasione dell’inaugurazione. Forse perché la distruzione di un’opera d’arte, anche per l’immaginario collettivo, costituisce un trauma. Un accadimento innaturale. E quindi una sorta di ingiustizia. L’artista, qualsiasi sia la sua realizzazione, a prescindere dal committente, e dal luogo nel quale verrà collocata, immagina e spera che la sua opera sia osservata da “molti”. Insomma, che non sia una questione privata.
La storia dell’arte, anche recente, abbonda di casi di artisti che decidono di distruggere delle loro opere. In alcuni casi con l’idea, di creare altre opere.
Così nel 2013 l’artista Heather Benning ha deciso di dare alle fiamme a The Dollhouse, una ricostruzione di una casa delle bambole all’interno di una vecchia fattoria nel Manitoba, una provincia canadese. Ci aveva lavorato per un anno, nel 2006. Invece, nel 1908, poco prima di una grande mostra dei suoi dipinti di ninfea, Claude Monet, distrusse 15 grandi tele.
Dopo di Benning e prima di Monet, e tra l’uno e l’altro, tutt’altro che pochi i casi di artisti presi dalla furia distruttrice. Nei confronti delle loro opere. Una furia che può non essere compresa ma va accettata. E forse giustificata. Chi dà vita ad un’opera, può decidere in qualche modo sulla sua esistenza.
Ma sono senz’altro più numerose quelle andate distrutte. Non per scelta. E, spesso, neppure, per sfortunate coincidenze. Piuttosto per stupidità. A volte per arroganza. Altre per diventare protagonisti, al contrario. In ogni circostanza chi doveva “solo guardare” ha commesso l’errore mortale di decidere sulla sorte di un’opera. Finendo così per decidere anche per gli altri. Forse anche per questo quando si verifica una qualche distruzione la notizia “fa rumore”. Un po’ per sacrosanta indignazione, un po’ perché sentiamo che qualcuno ha deciso per Noi. In maniera inequivocabilmente sbagliata.
“Questa stracci sarebbero solo dei rifiuti se non ci fosse la Venere che li rigenera. La Venere che viene dalla Storia. La Storia della bellezza, della Felicità, che rigenera questi stracci facendoli diventare opera d’arte”, ha spiegato il 28 giugno Pistoletto, inaugurando l’installazione, insieme al sindaco Manfredi. Già, l’icona della Bellezza sottolineata dal bianco brillante della statua e il monte di stracci, variopinti. La civiltà classica e quella contemporanea. Rigore e anarchia. Contrasti pensati uno accanto all’altro. Più che per segnalarne le differenze, per suggerire un dialogo. Che continuerà, in ogni caso. Non solo, se come sembra Pistoletto ricostituirà l’opera.
Se verrà dimostrato che l’incendio è stato doloso, qualcuno avrà meritato sul campo la patente di stupidità. Per aver commesso una “bravata” inutile.
L’arte si può distruggere, ma non muore davvero, mai.