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A Vilnius il piano della Nato per contenere la Cina. ‘No’ di Macron a un ‘ufficio di collegamento’ a Tokyo: “Non è il momento”

Al centro delle discussioni del vertice Nato tenuto a Vilnius non ci sono state solo le calde questioni inerenti all’adesione di Ucraina e Svezia nell’Alleanza, ma è stata la Cina, e il suo ruolo di sempre maggior rilievo, a occupare buona parte del dibattito tenuto nelle due giornate di incontri fra i leader. Testimone è la partecipazione al vertice, su invito dell’Alleanza stessa, per la seconda volta consecutiva dopo Madrid 2022, dei quattro Stati che compongono la cosiddetta AP4: Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Un gruppo di Paesi che vanta un legame integrato e strategico col Patto Atlantico e che sono i principali rivali nell’area della Repubblica Popolare Cinese.

Il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha aperto il vertice mandando un chiaro messaggio agli alleati: “La sicurezza non è regionale, ma globale e dobbiamo stare insieme”. Un’ammonizione circa il rischio di soffermarsi in maniera miope solo sul fronte di competenza dell’Alleanza, nonché la regione nord-atlantica. Stoltenberg ha poi ricordato che la Cina nel 2025 avrà 1.500 testate nucleari montate su missili in grado di arrivare negli Stati Uniti e in Europa e che “quello che accade nell’Indo Pacifico ha conseguenze per il Nord America e l’Europa”. Proprio in virtù della necessità di un “coordinamento ancora più stretto con i nostri partner dell’Indo Pacifico”, in questa sede sono stati conclusi importanti accordi con Giappone e Corea del Sud in materia di cooperazione marittima, scambio di informazioni militari, difesa informatica, controllo degli armamenti e nuove tecnologie militari, andando a coprire uno dei punti fondamentali dell’Alleanza Nato, ovvero il tema dell’interoperabilità militare.

A questo scenario è necessario aggiungere il fatto che sempre più Paesi dell’Alleanza stanno ridefinendo il loro rapporto politico ed economico con la Cina, identificata dai più come un “partner” fondamentale, ma allo stesso tempo “rivale sistemico”. Questo distanziamento si traduce, sotto il profilo economico, nella ricerca di una maggiore indipendenza dalle catene di approvvigionamento cinesi. Emblematico in questo senso è il caso della Germania, principale partner europeo di Pechino che, come già annunciato nella nuova strategia di sicurezza nazionale presentata il mese scorso, a Vilnius ha criticato, tramite il proprio cancelliere Scholz, la sempre maggiore “aggressività” cinese menzionando un “nuovo orientamento strategico tedesco” che condurrà in futuro alla “riduzione delle dipendenze critiche” con Pechino.

Nel corso del vertice lituano è emersa anche possibilità dell’apertura di un ufficio di collegamento della Nato a Tokyo, un’ipotesi alquanto singolare, rimarcata da più parti e anticipata prima del vertice. Una mossa che si collocherebbe all’interno della strategia cara a Washington, che mira ad aumentare l’impegno e l’influenza dei paesi Nato nel pacifico in funzione anti-cinese, sfruttando i timori nipponici relativi a un eventuale scontro militare futuro col Dragone. Una paura che ha portato recentemente Tokyo a decidere di potenziare il proprio esercito in senso offensivo. Secondo quanto riporta la testata Nikkei Asia, l’eventualità di questa apertura, sostenuta con grande convinzione dal segretario generale, è stata per il momento sospesa ma non affatto archiviata e le ragioni si possono trovare principalmente in una dura opposizione francese maturata nelle scorse settimane. È stato infatti lo stesso presidente Emmanuel Macron a mettere, da Vilnius, un punto temporaneo sulla discussione, auspicando che la Nato non allarghi il proprio orizzonte di azione e dichiarando che “la Nato è l’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico e qui la geografia la dice tutta: l’Indopacifico non è l’Atlantico del nord. Allora va bene avere una intimità strategica ma non dobbiamo dare l’idea di chi vuole entrare nel campo della lotta. Non è il momento giusto“. Non è la prima volta che Macron si discosta dalle dalle posizioni di Washington, insistendo sull’auspicio di una maggiore autonomia strategica europea. Come nel caso dell’aprile scorso, quando nell’ambito di un viaggio in Cina dichiarò che “gli Stati europei non devono essere coinvolti in crisi che sono fuori dal proprio interesse”, come nel caso di Taiwan.