L’audizione in Commissione parlamentare antimafia del procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, accompagnato dagli aggiunti Paolo Guido e Marzia Sabella, innesca un problema serio per la maggioranza di governo, a pochi giorni dall’anniversario della strage di Via D’Amelio. Nella sua relazione il Procuratore De Lucia ha esordito con una affermazione importante e per nulla retorica, dicendo che Cosa Nostra attraversa sicuramente una fase di crisi, al punto che per fare “cassa” è tornata ad occuparsi direttamente dello spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti.
Un risultato che De Lucia spiega con la continuità che finalmente ha raggiunto l’impegno dello Stato rispetto al fenomeno mafioso. Una continuità che De Lucia fa risalire proprio ai primi anni 90, il che significa fare riferimento tanto alle riforme normative progettate da Giovanni Falcone nel suo ultimo periodo di vita come capo dell’Ufficio Affari Penali del Ministero della Giustizia, quanto alle stragi del ’92 e del ’93 che scatenarono tutte le migliori energie di questo Paese.
Da questa premessa il procuratore De Lucia muove per una ampia ricapitolazione di tutti i principali strumenti di prevenzione e contrasto giudiziario, rivendicando il valore ineludibile di ciascuno di essi. Così per il concorso esterno in associazione mafiosa: altro che “reato evanescente”, è semplicemente il reato definito tradizionalmente dal combinato tra 110 e 416 bis del codice penale. Il “41 bis”? Fondamentale per impedire ai boss mafiosi di comandare in carcere e dal carcere, anche quando per farlo si devono assumere misure antipatiche, senza che diventino inutilmente afflittive. Le intercettazioni? Decisive, anzi da potenziare in riferimento alle tecnologie digitali (tra cui i cosiddetti “trojan”), anche in considerazione del bilanciamento già realizzato dalla riforma “Orlando”, su quanto sia pubblicabile e quanto invece debba restare nella cassaforte della procura perché irrilevante ai fini di prova del reato (o dei reati).
Il reato di “abuso di ufficio”? Irrinunciabile nella attuale formulazione già molto ben perimetrata e tipizzata, perché consente una verifica di legalità che può avere a che fare con il fenomeno mafioso, tanto più con le modifiche preoccupanti apportate recentemente al Codice degli Appalti, in particolare l’abbassamento della soglia per gli affidamenti diretti, la moltiplicazione delle modalità di affidamento diretto, la quantità e la fragilità delle stazioni appaltanti. I collaboratori di giustizia? Sono stati determinanti e continuano ad essere importanti, piuttosto bisognerebbe riconsiderare il termine dei 180 giorni entro i quali si deve realizzare la “confessione”, perché è fisiologico che alcune informazioni affiorino successivamente.
Semmai, sottolinea De Lucia, ci si dovrebbe occupare di mettere chi lavora nelle condizioni di farlo al meglio: mancano ad oggi alla Procura di Palermo almeno 14 sostituti, le dotazioni informatiche stanno già mostrando gravi limiti strutturali, serve personale investigativo in grado di coprire capillarmente il territorio, proprio per monitorare “dal vivo” la filiera degli appalti. Serve, ha insistito De Lucia, che il sistema normativo sia stabile e prevedibile per garantire un ordinato svolgimento dei processi.
Perché tutte queste affermazioni aprono un problema all’interno della maggioranza? Delle due l’una: o la Presidente Colosimo, in ragione della sua appartenenza politica, prenderà le distanze dalle tesi di De Lucia, schierandosi col ministro della Giustizia Nordio che ha già preso di mira la gran parte di questi istituti e con il ministro delle Infrastrutture Salvini che difende a spada tratta il nuovo Codice degli Appalti con il suo carico di discrezionalità (che finirà per esporre al pericolo gli amministratori locali) oppure no. Se no, dovrebbe avere l’onestà politica di cambiare incarico (o di cambiare partito).
L’occasione per dare un segnale in un senso o nell’altro potrebbe proprio essere l’anniversario della strage di Via D’Amelio, infatti quale modo migliore per commemorare il sacrificio di Paolo Borsellino e degli agenti della Polizia di Stato che lo tutelavano, che prendersi pubblicamente degli impegni relativi al presente? E magari l’occasione sarà buona anche per chiarire cosa pensi, la presidente, del Presidente del Senato che ha interrogato ed assolto il figlio dalla odiosa accusa di violenza sessuale. Non è estranea questa materia alla commemorazione della strage di Via D’Amelio, rammentando di quando, con la sua proverbiale ironia, Paolo Borsellino rivolgendosi all’amico Giovanni Falcone gli disse di aver immaginato il discorso da pronunciare al suo funerale: qui giace il più testa di minchia di tutti, uno che ha creduto di sconfiggere la mafia con la legalità.
La “legalità” resta ancora il grande bivio tra vittoria e sconfitta delle mafie nel nostro Paese, credere o meno nel valore cardinale del rispetto delle regole. Quel valore rivendicato con forza da De Lucia, quando ha detto che a differenza di altri Paesi che hanno dovuto affrontare problemi analoghi al nostro, in Italia ogni successo contro la mafia è stato ottenuto nel pieno rispetto dello Stato di diritto. Ecco, appunto, perché l’alternativa alla regola del diritto è la regola del clan. Che è parente stretto del branco.