La velocità è la prima causa di incidenti in città, ma l’esperienza di Parigi insegna che abbassare i limiti è solo un provvedimento-bandiera, poco utile e persino con qualche effetto negativo. Sicuri che per Milano sia una buona idea imitare Bologna, introducendo il limite dei 30 km/h? Il primo a nutrire dei dubbi in merito è proprio Sala, che infatti sta pensando a misure alternative o complementari. Alzare a 7,5 euro il prezzo per l’ingresso in Area C è solo l’inizio.
A incalzarlo sui 30 km/h è la sua lista civica, che vuole la svolta già dal prossimo 1° gennaio. Ancor prima che il suo collega Matteo Lepore lo anticipasse a Bologna, Giuseppe Sala aveva espresso qualche comprensibile perplessità, pur spiegando di essere al lavoro sulla proposta insieme ad Amat (Agenzia mobilità ambiente territorio).
Non si può dire che Sala lisci il pelo ai numerosi talebani dell’automobile. Anzi, è stato chiarissimo nel dire che a Milano le vetture sono troppe: “Ne abbiamo 49 su 100 abitanti (a Parigi sono 25, a Londra 30 e a Berlino 33, ndr). Io voglio lavorare per arrivare a una quarantina in dieci anni, anche se non sarò più sindaco. Bisogna dare un’opportunità diversa, ad esempio le metropolitane, ma anche più veicoli in sharing e più taxi”. L’intenzione è chiara e condivisibile, visto che “l’aria è irrespirabile”, come giustamente osserva lo stesso Sala: a Milano nel 2022 le polveri sottili sono salite oltre i livelli pre-pandemia.
Ma i 30 km/h sono lo strumento giusto? Sono in molti a non crederlo, anche in ambienti vicini al primo cittadino. A vari assessori e consiglieri tremano i polsi per le possibili reazioni della città, mentre altri membri della maggioranza vogliono invece qualcosa di più radicale: i 30 km/h non bastano, se nel contempo non si potenziano le ciclabili, non si pedonalizzano le strade davanti alle scuole, non si riducono ulteriormente le aree di sosta e non si realizzano corsie preferenziali per i mezzi pubblici, rendendoli più veloci rispetto alle auto.
Gli avversari politici sono sul piede di guerra: “Il limite a 30 km/h può essere utile solo davanti alle scuole e agli ospedali. Nel resto della città si rischia di fermare la circolazione. Se Milano si blocca, rallenta tutta la Lombardia”, sostiene Attilio Fontana. Tra i sostenitori di Sala, molti trovano ancora troppo basso il costo di Area C: solo una vera e propria stangata può davvero ridurre il numero di macchine. Un orientamento ancora più rigido vorrebbe che l’ecopass fosse addirittura abolito, rendendo l’intero centro storico una zona pedonale tout court. Di ticket per l’ingresso, semmai, se ne parli in Area B e non solo per i modelli più vetusti: in questa cerchia si può agevolmente fare a meno della macchina vista la copertura data dal trasporto pubblico locale, è solo questione di volontà. Il problema, tanto oggettivo quanto enorme, è invece per chi viene da fuori, costretto a prendere l’auto: ogni giorno un milione di auto intasa i 181 chilometri quadrati della superficie milanese.
L’idea dei 30 km/h è debole anche perché difficile da far rispettare, laddove già l’attuale limite di 50 viene allegramente ignorato. Bisognerebbe riempire la città di telecamere e autovelox, ma al solo annuncio una rivolta di piazza sarebbe automatica. Non solo: se si scende da 50 a 30 km/h nelle vie scorrevoli, si giunge a un tempo di percorrenza quasi doppio, aumentando la dispersione di gas di scarico nell’atmosfera. Il costo ambientale è enorme: un chilometro percorso in auto costa alla collettività 0,71 euro, mentre andando in bicicletta c’è addirittura un attivo di 0,64 euro (dati dell’amministrazione di Copenahagen, ndr).
Il vantaggio indiscutibile sarebbe invece in termini di sicurezza. Il rapporto Aci-Istat è lampante: la velocità è la prima causa degli incidenti (70% del totale). Quelli fatali sono in costante crescita nell’ultimo ventennio, con un’unica flessione tra il 2019 e il 2021, per via dello smartworking. Eppure, anche durante il lockdown 2020, gli incidenti a Milano sono stati ben 5.200, con 6.500 feriti e 30 morti. Nel 2021, col ritorno agli uffici, il dato è tornato a salire (da 19.964 a 25.838 incidenti), con 71 morti tra i pedoni, 220 tra i ciclisti e nove tra i conducenti di monopattino, una nuova emergenza che ha spinto il presidente di Aci Milano, Geronimo La Russa, a invocare nuove regole. In barba ai buoni propositi, il trend è bellamente proseguito nel 2022, con 3.476 incidenti tra bici o monopattini e altri veicoli. Nella prima parte del 2023 è esploso anche il problema dei mezzi pesanti che circolano assurdamente nelle zone urbane, mietendo vittime per via dell’ormai tristemente famoso “angolo cieco” che non consente di vedere i ciclisti.
Aspettiamo con paziente interesse i dati di Bologna, ma senza dimenticare che gli abitanti della Dotta sono appena 388 mila, pari alla somma di due municipi di Milano. Ha più senso guardare a Parigi, dove i 30 km/h sono già in vigore quasi ovunque: dal 2021 al 2022 gli incidenti sono diminuiti del 7,7% e i feriti del 7,1%, due dati che però contrastano con l’aumento dei morti, saliti da 29 a 40 (+38%). Questo probabilmente si spiega con il fatto che la velocità media è rimasta identica (12,9 km/h), a riprova del fatto che a determinarla non sono tanto cartelli e sanzioni, quanto le effettive condizioni del traffico.
Anche questo rimanda la necessità di “tagliare” il numero di auto circolanti con un provvedimento che certamente rischia di risultare impopolare, ma che ha il pregio di non nascondersi dietro un dito. Il diktat sui 30 km/h, se non interviene sull’effettiva velocità media degli autoveicoli, è con tutta evidenza un provvedimento-bandiera che potrà fare contento chi lo invoca, ma che da solo non cambierà assolutamente niente. Anzi, come già si è detto sul fronte dell’inquinamento (e dei morti parigini), potrebbe persino peggiorare le cose.