Fine della corsa. L’economia italiana ha smesso di crescere e in primavera il Prodotto interno lordo è rimasto fermo. Lo si legge nel bollettino mensile della Banca d’Italia in cui è scritto che la crescita economica dell’Italia, “dopo il rimbalzo del primo trimestre”, si è “interrotta”, e il Pil “è rimasto pressoché invariato in primavera”. La crescita quest’anno comunque resta prevista per l’1,3%, mentre nel 2024 e nel 2025 viene abbassata rispettivamente allo 0,9 e all’1%. A causare la frenata sono stati la “contrazione della manifattura” e i ritmi “più contenuti” dei consumi. Pesa anche lo stop al superbonus edilizio. “Nel secondo trimestre l’attività si sarebbe ridotta nel settore delle costruzioni, risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al Superbonus 110 per cento”. “Nel primo trimestre di quest’anno – ricorda via Nazionale – nell’area dell’euro il prodotto è lievemente diminuito per il secondo trimestre consecutivo e, secondo nostre stime, ha ristagnato in primavera. All’ulteriore flessione dell’attività manifatturiera, si è contrapposta l’espansione nei servizi. È proseguita la crescita dell’occupazione e si è intensificata la dinamica salariale. L’inflazione al consumo è ancora scesa, ma quella di fondo resta elevata”.
Oltre a una crescita zero l’Italia è alle prese con uno dei tassi di inflazione più alta della zona euro. Secondo Banca d’Italia il carovita dovrebbe vedere una brusca frenata solo nel 2024, restando invece alta quest’anno. Come si legge nel bollettino, “l’inflazione si porterebbe al 6% per cento nella media di quest’anno, e scenderebbe al 2,3% nel 2024 e al 2,0% nel 2025”. Alla base del ribasso, “gli effetti diretti e indiretti del calo dei prezzi delle materie prime energetiche. L’inflazione di fondo, attesa al 4,5 per cento nella media dell’anno in corso, raggiungerebbe il 2,0 per cento alla fine del triennio di previsione”.
Dell’inflazione hanno approfittato e continuano ad aprofittare le aziende “nel primo trimestre del 2023 i prezzi dell’energia e dei beni importati si sono progressivamente ridotti, determinando un calo dei costi variabili per unità di prodotto dell’1,6% nel confronto con il trimestre precedente, mentre i prezzi dei prodotti finiti hanno continuato a crescere, sebbene in misura lieve (0,4 %). Il Margine operativo lordo (differenza tra costi e ricavi) rapportato al valore della produzione è quindi cresciuto di circa 1,8 punti percentuali, recuperando pienamente i livelli del 2021″. “L’aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura – scrive ancora Bankitalia -. Nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici.
Gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti: in 11 settori tra quelli inclusi nell’esercizio, che rappresentano complessivamente circa un terzo del valore aggiunto manifatturiero (fra cui industria dell’auto, delle bevande e altre) e che avevano registrato diminuzioni molto consistenti dei margini nel 2022, i margini di profitto sono ancora al di sotto di tali livelli”. Al momento la banca centrale non ravvisa nessuna temuta rincorsa tra prezzi e salari. “Nella seconda metà dell’anno la dinamica salariale si rafforzerebbe soprattutto per effetto dell’erogazione degli incrementi retributivi legati alle clausole di indicizzazione presenti in alcuni accordi collettivi nazionali”, scrive Banca d’Italia , secondo cui “queste clausole riguarderebbero tuttavia una quota contenuta di lavoratori , limitando il rischio di una rincorsa tra prezzi e salari”.