Ambiente & Veleni

Il Consiglio di Stato dà ragione a Greenpeace. Le università dovranno rendere pubblici eventuali accordi con Eni

“Massima conoscibilità e trasparenza” di tutte le informazioni che riguardano l’ambiente o possono influire sulla sua tutela. Il Consiglio di Stato ribadisce un principio già espresso dal Tar dal Piemonte, respingendo il ricorso presentato contro una sentenza del tribunale amministrativo da Eni che dal 2021 si oppone a rendere pubblici gli accordi in essere con le università italiane in campo di didattica, ricerca e finanziamenti concessi. A cercare di arrivare a queste informazioni era stata Greenpeace Italia due anni fa, attraverso una serie di accessi agli atti presentati in ben 66 università, con lo scopo di capire se Eni incidesse sulle scelte degli atenei e di avere uno sguardo più consapevole sugli esiti degli studi in materia ambientale prodotti dalle università. Ma a tale richiesta di trasparenza, gran parte delle università avevano frapposto un muro di dinieghi e risposte parziali. Tra queste, il Politecnico di Milano e quello di Torino.

Greenpeace aveva fatto ricorso contro entrambi, arrivando a due risultati opposti: ricorso respinto dal Tar della Lombardia per gli accessi agli atti presentati all’ateneo milanese, accolto dal Tar del Piemonte nell’altro caso. Eni si era opposta a quest’ultima sentenza, ma ora il Consiglio di Stato dà ragione a Greenpeace, confermando l’interpretazione fornita in primo grado al concetto di “informazione ambientale”, una tipologia di informazione a cui va garantito un diritto di accesso “il più ampio possibile, per la speciale rilevanza del bene giuridico in questione e il diretto impatto che le scelte ambientali rivestono sulla comunità”.

Per i giudici, “non può essere escluso che accordi o convenzioni tra un soggetto operante in ambito accademico e un’impresa notoriamente leader nel settore energetico rivestano interesse al fine di rendere pubblici e trasparenti gli indirizzi volti a produrre conseguenze in termini di scelte e politiche ambientali, che non si vede perché dovrebbero rivestire carattere di riservatezza”. A tele riguardo i giudici notano che Eni stessa scrive sul suo sito: “Siamo una società integrata dell’energia impegnata nella transizione energetica con azioni concrete per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050”. È dunque la stessa società a “sottolineare il proprio ruolo nel contesto delle dinamiche della transizione energetica, vale a dire in uno degli ambiti essenziali delle attuali problematiche ambientali”. In questo contesto “è palese” la correlazione tra materia ambientale e informazioni relative ai rapporti tra imprese del campo energetico e università, “anche tenendo conto dell’esigenza di assicurare la massima trasparenza ai flussi finanziari e ai contenuti dei rapporti tra mondo delle imprese e centri pubblici di ricerca e innovazione”.

Respinta dunque la tesi di Eni secondo cui gli accordi con gli atenei non sono in grado di incidere sull’ambiente e secondo cui le informazioni a riguardo, se diffuse, potrebbero ledere gli interessi economici e commerciali della compagnia petrolifera. Il Politecnico di Torino dovrà ora consentire a Greenpeace l’accesso a tutti gli atti, accordi e contratti, anche di tipo finanziario, in essere con Eni. “Greenpeace Italia aveva rivendicato che il diritto di accesso all’informazione ambientale dovesse essere inteso in senso ampio e non restrittivo come fatto sino a oggi e che un ente pubblico non potesse tenere nascosti rapporti economici con società. E in tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato”, dice l’avvocato dell’associazione ambientalista, Alessandro Gariglio.

“Da questo momento in avanti non sarà più possibile per la pubblica amministrazione limitare l’accesso all’informazione ambientale sostenendo che è tale solo quella che riguarda in senso stretto i dati direttamente attinenti ad aria, acqua e terra, ma al contrario si deve inserire anche l’energia e, soprattutto, intendere accessibile tutto ciò che può interessare l’ambiente nel suo significato più ampio”. Per Simona Abbate di Greenpeace Italia, “non solo è paradossale e inaccettabile che aziende fossili come Eni finanzino la ricerca e la didattica negli atenei pubblici del nostro Paese. Ma, in questo caso, abbiamo assistito addirittura al tentativo, fortunatamente fallito, di mantenere queste relazioni sotto una fitta cortina di segretezza. La tattica di Eni è evidente: fare greenwashing spacciandosi come azienda che finanzia progetti di ricerca in ambito di sostenibilità, mentre il proprio core business resta e resterà principalmente fossile”.

@gigi_gno