di Dante Nicola Faraoni

È in corso un serrato dibattito sul salario minimo. In un contesto economico sconvolto dall’inflazione a due cifre che ha aumentato i problemi di milioni di famiglie, dove i consumi calano creando problemi alla produzione, anche gli industriali iniziano a preoccuparsi. D’altronde l’economia, da quando è in piedi l’essere umano sulla terra, si regge su un unico fondamentale: l’equilibrio tra la domanda e l’offerta.

Il sociologo Domenico De Masi afferma che ci sono in Italia 5,6 milioni di poveri assoluti che sommati ai poveri relativi diventano 14 milioni. Dati confermati da Istat. Chi non si preoccuperebbe di questa situazione? Se aumentano i poveri il consumo diminuisce e con esso la produzione di beni e servizi. Quindi è necessario mettere in equilibrio il rapporto tra domanda e offerta e in questo caso lo farebbe l’aumento del potere d’acquisto, soprattutto quello dei meno abbienti. Per due ragioni ben precise: 1) Etica e Umanesimo, 2) Massima utilizzazione delle potenzialità economiche.

La povertà non è un fattore fisiologico della società, è un difetto del sistema economico. La povertà viene rimossa attraverso l’educazione, l’istruzione, dando valore al diritto all’esistenza, creando lavoro, stimolando la solidarietà e la cooperazione. È compito della società nel suo insieme rimuovere tale piaga. La dignità economica è un valore democratico previsto dalla Costituzione art. 36; art. 41. Estirpare la povertà è un dovere di cui tutti siamo responsabili, è un primo passo verso la democrazia economica.

Gli economisti, gli imprenditori, i finanzieri e perfino qualche politico sanno che in economia gli esseri umani diventano consumatori. Se si consuma si vende e si produce. Lo sa bene la Germania che in questi ultimi dieci anni ha regolarizzato circa tre milioni di migranti. Non è stato un caso, è pianificazione economica; più consumatori più crescita. Va detto di più, la Germania, come altri Paesi Ue, ha sostenuto un welfare importante per le categorie disagiate in funzione di crescita e Pil; in funzione quindi, del bilanciamento tra la domanda e l’offerta.

Per giudicare l’operato del governo Meloni, il suo no al salario minimo e al reddito di cittadinanza, bisogna prendere in considerazione questi due aspetti: etica e necessità economica. La negazione di questi due valori è schizofrenia politica e autolesionismo economico. È demenziale inneggiare alle conquiste della destra europea quando il salario minimo è legge in 21 Paesi della Ue.

Il sistema Prout, Progressive Utilisation Theory, sostiene la garanzia delle minime necessità (cibo, vestiti, casa, sanità, istruzione) quale obiettivo primario dell’economia, non solo perché è dovere di ognuno rispettare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ma perché in economia il valore del denaro aumenta con la sua mobilità. In altre parole, più il denaro cambia di mano, maggiore è il suo valore economico. Al contrario, più il denaro rimane immobile o si muove nelle mani di pochi super ricchi, come sta succedendo ora, perde la sua dinamicità e quindi il suo valore economico diminuisce. Questo è il principio cardine dell’economia che la teoria Prout riconosce. Quindi, per logica economica il salario minimo dovrebbe coprire le minime necessità.

Al contrario, se il governo continua a favorire l’avidità demoniaca di quella fascia di super ricchi che lucrano anche sulle difficoltà degli Stati, non solo si continuerà a erodere il reddito delle categorie a basso e medio reddito, ma impoverirà anche i ricchi, distruggendo la vita stessa della società.

Se la presidente Giorgia Meloni vuole stare tra i grandi d’Europa deve per lo meno fare il minimo sindacale: non è l’arrivo ma è la strada giusta. La scelta è aprire a spiragli di democrazia economica oppure consolidare il fascismo economico dei super ricchi. La storia ci ha già proposto uno scenario simile; è già successo e sappiamo tutti com’è andata a finire.

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