Matteo Messina Denaro sarà giudicato con il rito abbreviato condizionato nel processo che lo vede accusato di estorsione davanti al gup del tribunale di Palermo Di Gioia. A richiederlo è stato lo stesso ex latitante: l’istanza è stata avanzata al giudice dalla legale del boss, Lorenza Guttadauro, che è anche sua nipote. Messina Denaro, detenuto a L’Aquila, non ha però partecipato all’udienza. La richiesta era condizionata all’esame delle persone offese: Giuseppina Passanante, figlia di un prestanome del boss, e il marito che, secondo l’accusa della Dda, il capomafia avrebbe minacciato per riavere un suo terreno a loro intestato fittiziamente.
Messina Denaro, che si è difeso smentendo ogni responsabilità e sostenendo di essersi limitato a scrivere una lettera alla donna per riavere ciò che in realtà era suo, ha così chiesto e ottenuto dal gup di sentire in aula le due presunte vittime. Il processo è stato rinviato a settembre quando Giuseppina Passanante e il marito saranno citati. Matteo Messina Denaro era stato interrogato il 21 febbraio scorso, a poco più di un mese dall’arresto, proprio in merito a questa vicenda. Ha riposto ai magistrati negando di aver minacciato Giuseppina Passanante: “Ognuno risponde con la propria dignità di quel che fa”, aveva detto il padrino di Castelvetrano rivendicando la legittimità delle sue azioni. “Ascolti, questo terreno è stato comprato da mio padre nel 1983 – aveva aggiunto – Mio padre era amico del padre della signora Passanante, che oggi è pure morto, e allora ha chiesto ad Alfonso Passanante, che conoscevo pure io, se poteva fare il favore di intestarsi questo bene, e il Passanante ha detto sì. Si intestò il bene, cioè si fece l’atto e lui conduceva le operazioni in campagna e aveva a che fare con me per i conti che dovevamo fare. Ad un tratto succede tutto quello che succede, e cioè che il tempo passa, passano gli anni, si arriva agli anni ’90, mio padre è latitante, il Passanante è in carcere. Io sono pure latitante”.
Poi la ricostruzione di Messina Denaro continuava: “E ad un tratto so, per vie traverse, non tramite la signora Passanante, né tramite il papà che era ancoro vivo anche se in carcere – aggiungeva il boss – che tutti i loro beni sono stati ipotecati da alcune banche, per vicende loro che a me non interessano e nemmeno so, quindi questo terreno fu pure ipotecato, però io non dissi nulla e non feci nulla, perché lui era in carcere, quindi che dovevo dire? Andava così. Naturalmente la signora Passanante, in tutti questi anni di mia assenza, si tenne sempre tutto il profitto di questo terreno, e mai nessuno le chiese nulla”. Poi il boss spiegava la decisione di scrivere alla donna per riavere il terreno: “Ad un tratto, negli ultimi anni, vengo a sapere che lei stava vendendo il terreno. Tra parentesi avevano l’affare concluso sotto prezzo, perché lei che cosa voleva fare, prendersi questi soldi di questo terreno, cioè lo rubava, e pagarsi il mutuo. E avrebbe pagato tutto con i miei beni. Arrivati a un dato punto, questi sono discorsi per me non onesti – prosegue – perché le persone agiscono come vogliono, ma va bene cosi, ognuno poi risponde con la propria dignità delle cose che fa, nel bene e nel male”. Quindi Messina Denaro concludeva: “E allora che cosa ho fatto, l’ho contattata, con una lettera, e gliel’ho firmata, non ho detto pseudonimi, firmato con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti”.