Nei mesi scorsi, su questo blog, ho affrontato il tema della potenza della mediocrità nelle piccole imprese. Un paradosso che rovina la capacità dei singoli e l’efficienza di un team di lavoro.
Partiamo dal presupposto che l’attuale attività d’ufficio nelle grandi imprese ormai non consiste in volumi di lavori di massa caratterizzati da semplicità e ripetitività, come ad esempio registrazione di fatture, conteggi, contratti e simili. Queste attività vengono sempre più date in outsourcing a piccole imprese di servizi. Le imprese, anche di medie dimensioni, trattengono per sé i lavori più difficili da esternalizzare in quanto a maggior contenuto professionale. Ne consegue che le prestazioni richieste all’operatore consistono sempre più nella soluzione dei problemi piuttosto che nell’applicazione di procedure ripetitive.
Nelle piccole imprese, laddove spesso si scimmiotta l’operatività delle medie e grandi realtà, qualche volta, per migliorare le prestazioni di una struttura si prova a immettere un giovane brillante nella speranza che serva da traino in situazioni stagnanti. Quasi mai si ottengono risultati positivi. Perché l’intervento da fare è nei confronti della struttura, sebbene piccola, nel suo insieme. Provo a dimostrarlo.
Immaginiamo che esista una situazione dipendenti con diversi livelli di produttività. Qualora un dipendente spicchi sugli altri per capacità ed efficienza si realizza una sorta di “effetto calamita”. È in questi casi che si realizza il paradosso chiamato: “Carica l’asino… finché non si adegua”. Facciamo un esempio.
Ammettiamo di avere un dipendente (punta di diamante) che risolve problemi fino a difficoltà 100. Se la struttura esprime persone in grado di risolvere solo problemi di difficoltà 30, i problemi di difficoltà superiore a 30 verranno automaticamente convogliati sulla punta di diamante in grado di risolvere problemi fino a difficoltà 100. La risorsa, all’inizio, mostrerà grande efficienza risolvendone gran parte, ma, nel lungo periodo, tenderà a risolvere subito i problemi di valore vicino a 30 e a rinviare i più impegnativi in tempi di termini e di fatica. Dopo un certo periodo non saprà più risolvere i problemi dal 50 in su e quindi si sarà avvicinato alla media. Dal momento che la competenza è il suo reale capitale e anche il capitale dell’azienda, questa ultima avrà dissipato il capitale umano (da 50 a 100) e la “punta di diamante”, quando si accorgerà di essere stato espropriato del suo valore, cercherà un luogo in cui il suo capitale potrà continuare a crescere.
Il miglior operatore, in un gruppo mediocre, attira i lavori da più parti fino al punto in cui non reggerà più il ritmo e si adeguerà a una minore efficienza e a una minore qualità. Un’organizzazione tende quindi a esprimere il livello minimo di efficienza tollerato, quando le risorse che contribuiscono al risultato sono comuni (nel senso di accomunate a tutti gli altri), non identificate e non riconosciute. In sintesi, per un buon dipendente o persona remunerata in misura fissa, la competenza può rivelarsi un pericolo: tenderà a plafonare il proprio livello di competenza dichiarata per evitare il sovraccarico di problemi e così finirà col diventare incompetente davvero.
La stessa cosa non capita a un professionista, il fenomeno del “carica l’asino…” è infatti contrastato dalla necessità di dovergli riconoscere valore sotto il profilo economico attraverso distinti incarichi. Quante volte abbiamo percepito l’incompetenza dal punto di vista quantitativo e qualitativo? “Non affidarlo a lui, non lo sa fare”: negli uffici si genera così una sorta di “premio all’inadeguatezza”. L’impiegato inquadrato godrà di una situazione di privilegio che, in prospettiva, lo porterà a rendersi inutile del tutto, poiché avrà sempre meno possibilità di mettersi in gioco e si avvierà verso una china per la quale farà sempre di meno finché non saprà più fare nulla (ma continuerà a prendere lo stipendio…).
L’eccellenza del singolo non sopravvive in strutture mediocri. Al contrario, quando il gruppo esprime una media elevata, anche la punta verso il basso tenderà a spingersi verso l’alto o a cercare un’altra occupazione. Per questo motivo, per migliorare la produttività di una piccola organizzazione ad alta intensità di conoscenza non serve intervenire sulle punte, ma occorre lavorare sul suo insieme.