“Secondo Nordio va rimodulato il concorso esterno in associazione mafiosa? No, perché c’è l’art.110 del codice penale che stabilisce che chiunque concorre in un reato ne risponde. Il problema semplicemente è che, siccome nel concorso esterno in associazione mafiosa spesso finiscono sotto processo persone che contano, allora si inventano questioni che altrimenti non avrebbero motivo di esistere“. Così a In Onda Estate (La7) il magistrato Piercamillo Davigo commenta le parole pronunciate dal ministro della Giustizia Carlo Nordio a margine dell’evento La Giustizia in Piazza, a Roma (“Il concorso esterno non esiste come reato. È una creazione giurisprudenziale. I giudici hanno inventato questa formula abbastanza evanescente. È un ossimoro (…), va rimodulato un reato che in questo momento non esiste come tassatività e specificità. Non esiste nel codice”).
Davigo a riguardo fa un esempio pratico: “Se io pago un killer per uccidere qualcuno, ne rispondiamo entrambi di omicidio. Se ho bisogno di un’auto per fuggire dopo l’omicidio e spiego all’altro di rubare una macchina perché mi serve per la fuga, il ladro risponde sia del furto, sia dell’omicidio – aggiunge – Perché questo non dovrebbe valere per l’associazione di tipo mafioso? Prima che entrasse in vigore il reato di associazione mafiosa, questo valeva per l’associazione a delinquere di tipo normale”.
Poi si pronuncia sul trentennale scontro tra politica e magistratura: “Non vedo differenze rispetto a 30 anni fa (con Berlusconi, ndr). Il problema italiano è che manca qualunque autonoma valutazione della politica prima che intervenga la magistratura. Ci sono delle cose che possono anche non essere reato, ma che sono estremamente riprovevoli. In Italia nessuno va a casa per cose riprovevoli che non sono reato – conclude – Dicono sempre: ‘Aspettiamo le sentenze’. E questo inevitabilmente carica sul processo decisioni che dovrebbero essere politiche. Se uno deve andare a casa o no, dovrebbe deciderlo la sua parte, non il giudice. Però se nessuno decide mai niente, alla fine è il magistrato a decidere”.