“Je t’aime, moi non plus”. L’addio alla cantante e attrice francese Jane Birkin, trovata morta nella sua casa di Parigi a 76 anni, risuona subito attorno a quei versi avvolgenti e indimenticabili che nel 1969 fecero scandalo. Un capolavoro musicale libertino e libertario che simboleggia quel melange tra seduzione e intelligenza che Birkin, nata a Londra e lì affermatasi come attrice a metà Sessanta, poi diventata “parigina” e francese come una nave rubata alla perfida Albione dai Settanta in poi, ha rappresentato nell’immaginario artistico ed estetico di almeno un paio di generazioni ribelli e alternative.
Figlia di un maggiore della marina inglese e di una attrice e cantante, Birkin a nemmeno 18 anni era già sull’onda della Swinging London tra palchi e microfoni. Nel 1966 è giovanissima moglie del celebre compositore John Barry con cui ha una figlia (che morirà nel 2013) e nello stesso anno Antonioni la vuole, perfino a seno nudo, in Blow-up. L’esplosione di una sensualità nuova, non più maggiorata e ridondante, ma sottilmente erotica e sinuosa, perfino mascolina, ammalia la scena delle produzioni cinematografiche francesi. È sul set di Slogan, un filmetto di Pierre Grimblat, che la Birkin finisce per scavalcare Marisa Berenson come protagonista e innamorarsi dopo liti e incomprensioni di Serge Gainsbourg, protagonista del film, compositore delle musiche, star bohemien dell’universo francese. È a quel punto che la relazione tra i due travalica il film e nemmeno un anno dopo diventa un brano (e un album) memorabile.
Je t’aime moi non plus era un pezzo scritto da Gainsbourg per la Bardot, sua ex, con cui l’aveva inciso, ma per mille ritrosie della Bardot ancora ufficialmente sposata con il ricchissimo Gunter Sachs, finirà per essere una hit dell’album Jane Birkin – Serge Gainsbourg. Il brano duetto zeppo di sospiri dove si amoreggia e si armeggia attorno ad un rapporto sessuale in chiave estatica svetta nella top ten francese e sarà censurato in Italia come in Gran Bretagna nella celebre trasmissione Top of the Pops, anche se lentamente si farà strada con quello suo ammiccante ritornello apparentemente non sense che lancerà completamente la carriera di cantante della Birkin. Ventuno gli album firmati dall’inglesina finita a peregrinare per Parigi e per il mondo dal 1969 al 2010. I primi in coppia con Gainsbourg, poi soprattutto negli anni ottanta spaziando tra il jazz, il pop e persino radici folk.
Tanti i duetti con figure di spicco della musica mondiale (Smile con Brian Molko, ad esempio), anche se è sulla falsariga di una tonalità da educanda sottile, innocente e conturbante allo stesso tempo, che Birkin costruisce la sua carriera. Pensate a un bramo come Di doo Dah (1973), sorta di matrice dell’intero corpus birkiniano a venire. È però nei primi anni Ottanta che Jane Birkin supera quell’idea di ragazzina sexy a favore di un’immagine di donna matura, elegantemente un po’ sciupata, figura talmente iconica da finire dentro all’universo della moda con naturalezza quasi selvaggia e primitiva.
L’addio a Gainsbourg (con cui ebbe una figlia, la celebre attrice Charlotte Gainsbourg) e la nuova relazione con il regista Jacques Doillon la portano, appunto, nei piani alti di un cinema d’essai francese e con registi come Agnes Varda, Jacques Rivette, Tavernier, Godard e il marito Doillon, mescolando il cosiddetto impegno con qualche titolone di grido (Assassinio sul Nilo e Delitto sotto il sole, blockbuster tratti da Agatha Christie).
Del resto è verso il cinema che Birkin ha sempre rivolto la sua attenzione più profonda e personale. L’esordio del ’65 su una motocicletta come comparsa in un film nientemeno che di Richard Lester o le “comparsate” pre ’69 sono solo dei flash espositivi più estetici che altro. Sono invece film popolari francesi come La piscina nel 1969, con Alain Delon e Romy Schneider, o ancor di più con diversi titoli da grande pubblico (meno e per nulla conosciuti in Italia) come i due film comici diretti da Claude Zidi – La course a l’echalot e Mustard goes to my nose (1974) assieme a Pierre Richard (forse il volto più noto in Francia dopo Depardieu e Louis De Funes) – che la rendono attrice disinvolta, versatile, e meno stilosa rispetto agli anni dello scandalo.
Nel 2021 è protagonista di un documentario biografico che le dedica la figlia Charlotte, Jane by Charlotte, un ritratto tattile e istintivo di mamma Jane che Charlotte senza materiali d’archivio, in mezzo a molti fantasmi (papà Serge, la sorella/figlia probabilmente suicida Kate) e al disordine delle case di Parigi e sull’Atlantico, compone con dolcezza verso l’icona sensuale, un filo sfuggente, ma mai tramontata, di cui si è innamorato mezzo mondo.