È uno spartiacque. Uno dei quei momenti che indicano un prima e un dopo all’interno di una grande storia. Qualcosa che può essere paragonato a quello che accadde il 2 luglio 2001, quando un 19enne Roger Federer eliminò agli ottavi di finale Pete Sampras. La vittoria a Wimbledon di Carlos Alcaraz (secondo Slam della carriera dopo gli Us Open del 2022) su Novak Djokovic assume le sembianze di un cambio di prospettiva. Il giovane che ha battuto il vecchio. La nuova generazione che ha avuto finalmente la meglio sulla vecchia anche negli Slam, dopo un decennio di inseguimento e tanti tennisti sacrificati sull’altare della grandezza (e dei record) di Federer, Nadal e Djokovic. Per la Spagna è il terzo vincitore a Wimbledon, dopo Manolo Santana nel 1966 e Rafael Nadal nel 2008 e 2010.

Carlos Alcaraz ha portato a compimento un passaggio tante volte invocato e sempre rimandato. Lo ha fatto con un servizio e un colpo vincente al primo match point, seguito dal boato di un Centre Court in estasi. Un cammino nel quale ha sconfitto Jeremy Chardy, Alexander Muller, Nicolas Jarry, Matteo Berrettini, Holger Rune e Daniil Medvedev. E pensare che per Alcaraz non era cominciata nel migliore dei modi, con un netto 6-1 per Nole. Poi lo spagnolo si è scrollato di dosso la tensione e ha dato vita a una battaglia durata quasi cinque ore e vissuta punto su punto, che ha raggiunto l’apice nel quinto gioco del terzo set. Ventisei minuti di game conclusi con il break spagnolo. Il vero punto di svolta di tutto il match.

Per lo spagnolo non è la prima vittoria in carriera contro Nole. Lo aveva già battuto in una spettacolare semifinale, finita al terzo set, del Masters 1000 di Madrid di un anno fa. E quindi, perché questa vittoria dovrebbe essere diversa? Perché tutte le carte sono in regola per sovvertire l’ordine ventennale che governa il tennis? D’altronde in passato si è annunciato il tramonto dei Big Three tante volte – in particolare dopo il successo di Medvedev agli Us Open 2021 (contro Nole, per giunta) e dopo il titolo e la conquista del numero 1 del mondo dello stesso Alcaraz nel 2022, sempre a New York – per essere poi smentiti al torneo del Grande Slam successivo. La risposta è molto semplice: la finale di Wimbledon è un’altra cosa. Battere uno dei Big Three (per di più Djokovic) ai Championships – dove il serbo ha vinto 7 volte e non perdeva dai quarti di finale del 2017 – ha un significato molto superiore, anche simbolicamente parlando. Sul Centre Court Nole non perdeva poi da dieci anni, dalla finale del 2013 contro Andy Murray.

L’impresa di Alcaraz ha fermato il raggiungimento di tutta una serie di record che stavano aspettando Nole, tra cui gli 8 titoli di Roger Federer e i 24 Slam di Margaret Court (primatista tra maschile e femminile). Inoltre ha difeso la sua prima posizione mondiale – che altrimenti sarebbe tornata a Djokovic -, portando il suo vantaggio a circa 1000 punti. Infine c’è il fatto più importante di tutti: la missione Grande Slam di Nole è fallita. E probabilmente in via definitiva, considerando che il prossimo anno Djokovic avrà 37 anni. Insomma, il primo Wimbledon di Alcaraz non è un trionfo qualsiasi, ma qualcosa che lascia un segno profondo nella storia di questo sport.

È stato uno scontro generazionale definitivo. Anche perché Alcaraz e Djokovic sono divisi da sedici anni. Nell’Era Open solo due finali hanno visto un gap maggiore (quelle a Wimbledon e Us Open nel 1974 tra Jimmy Connors e Ken Rosewall, 18 anni di differenza). Un momento che ora potrebbe essere d’ispirazione per tanti altri giovani talenti, da Jannik Sinner a Holger Rune, da Stefanos Tsitsipas a Ben Shelton, fino a Lorenzo Musetti. Magari Djokovic tornerà a vincere uno Slam, ma in ogni caso la vittoria di Alcaraz ha cambiato l’inerzia di un equilibrio a cui gli appassionati si erano assuefatti. Ora il giocatore da battere (anche negli Slam) non è più uno dei Big Three, ma uno spagnolo di 20 anni dalla personalità straripante e che ha ricevuto il dono di essere stra-dotato. Uno destinato a caratterizzare il tennis per almeno il prossimo ventennio.

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