Gli insegnanti transgender ora avranno diritto ad avere i bagni neutri, l’identità alias per le credenziali della posta elettronica, su eventuali tabelle di turno orari esposte negli spazi comuni e sul cartellino di riconoscimento. La rivoluzionaria novità, poco sbandierata per ora anche dalle organizzazioni sindacali che l’hanno fortemente voluta, è contenuta nel contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto istruzione, università e ricerca 2019/21 (contratto che era ancora “vacante” ed era quindi necessario completare), firmato venerdì dai sindacati (tranne la Uil) e dall’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Cioè dal governo. E in particolare dal ministero dell’Istruzione e del merito guidato dal leghista Giuseppe Valditara. Un contratto salutato con un comunicato ufficiale in cui il ministro dice: “Il nuovo contratto segna un importante passo avanti verso una sempre maggiore valorizzazione di tutto il personale della scuola, sia docenti sia Ata”. Valditara parla delle novità contrattuali e dell’ufficializzazione del docente tutor, ma non fa riferimento al tema dei diritti delle persone trans. Invece, studiando “l’ipotesi di accordo”, che sarà definitivo quando passerà tutti i controlli del Mef e della Funzione pubblica sulla parte economica, spunta un articolo che nel precedente contratto non c’era.

Si tratta del 21 che riporta il titolo “Transizione di genere”. Nel testo c’è tutto o molto di ciò che il pianeta Lgbtq+ si potrebbe aspettare e che dopo l’affossamento del ddl Zan sembrava rimandato a data da destinarsi. Ecco il testo: “Al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato al valore fondante della pari dignità umana delle persone, eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, le amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ha intrapreso il percorso di transizione di genere di cui alla Legge 164/1982 e ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un accordo di riservatezza confidenziale. Modalità di accesso e tempi di richiesta e attivazione dell’alias saranno specificate in apposita regolamentazione interna, la carriera alias resterà inscindibilmente associata e gestita in contemporanea alla carriera reale”. Di seguito vengono riportati gli esempi di applicazione della norma citati sopra relativamente ai servizi igienici, agli spogliatoi etc: “Divise di lavoro corrispondenti al genere di elezione della persona e la possibilità di utilizzare spogliatoio e servizi igienici neutri rispetto al genere, se presenti, o corrispondenti all’identità di genere del lavoratore”.

Gli unici documenti che “non si conformeranno all’identità alias” sono quelli a “rilevanza strettamente personale” e non pubblici ovvero la busta paga, la matricola, i provvedimenti disciplinari o la sottoscrizione di atti e provvedimenti da parte del lavoratore interessato. Vien facile pensare che Valditara non avesse certo interesse a sbandierare ai media questa novità. Era stata proprio la Lega, infatti, nel maggio 2021 ad alzare le barricate contro la Regione Lazio che, in occasione della giornata internazionale contro l’omotransfobia, aveva stilato alcune regole valide per le scuole, tra cui proprio il bagno/spogliatoio non connotato per genere ora promosso – con il nuovo contratto – da viale Trastevere. Tutto il centrodestra, a partire dalla premier Giorgia Meloni che non ha mai nascosto la sua avversità per quella che definiscono “ideologia gender”. In un’intervista rilasciata al settimanale Grazia, lo scorso mese di marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, la presidente del Consiglio spiegò: “Maschile e femminile sono radicati nei corpi ed è un dato incontrovertibile. Tutto questo andrà a discapito delle donne? Credo proprio di sì: oggi per essere donna, si pretende che basti proclamarsi tale, nel frattempo si lavora a cancellarne il corpo, l’essenza, la differenza. Le donne sono le prime vittime dell’ideologia gender. La pensano così anche molte femministe”. E allora perché questo articolo viene inserito nel contratto nazionale, il primo firmato dal governo di destra, nel pieno della “nuova narrazione” del paese e in un settore – quello della scuola – che è sempre stato considerato il fortino da presidiare contro il famigerato gender?

Il ministero dell’Istruzione e del merito allarga le braccia spiegando a ilfattoquotidiano.it che si tratta di un articolo “presente in tutti i contratti” del settore pubblico. Un adeguamento resosi necessario e al quale, in sostanza, non si è potuto dire di no. Una di quelle norme, insomma, passate obtorto collo. L’anno scorso, all’epoca del ministro Patrizio Bianchi, da Roma, in occasione della giornata internazionale contro l’omotransfobia, era partita una circolare inviata a tutti i presidi esortando gli istituti a organizzare iniziative di educazione e sensibilizzazione sul tema. Apriti cielo! “Un documento sconcertante”, aveva scritto “Fratelli d’Italia”, con tanto di annuncio di interrogazione parlamentare e la richiesta ai genitori di prestare attenzione e richiedere il consenso firmato per qualunque iniziativa effettivamente organizzata dagli istituti dei loro figli in quella giornata. “Propaganda di genere”, aveva detto la Lega tirando fuori dal cassetto il solito slogan usato per contrastare l’iter legislativo per il ddl Zan: “Giù le mani dai nostri bambini”. Ora, forse nella speranza che nessuno legga o applichi questa parte del contratto tra i banchi, il gender entra con il tappeto rosso nelle scuole. Negli istituti dove fino a ieri era un problema parlare con i ragazzi di omotransfobia ci saranno i bagni neutri per i docenti “o corrispondenti all’identità di genere del lavoratore”.

La norma in questione, tra l’altro, non è cancellabile in sede di verifica della compatibilità del contratto da parte del Mef. A garantirlo sono la segretaria della Flc Cgil Gianna Fracassi e quella della Cisl Scuola Ivana Barbacci. La seconda spiega: “Questo articolo è stato inserito con la volontà di tutti e non c’è possibilità che venga modificato. Non l’abbiamo ancora pubblicizzato perché stiamo facendo la sintesi dei temi di maggiore diffusione; questo è un argomento particolare che riguarda una fascia precisa di lavoratori. Lo valorizzeremo. Nessuno ha posto questioni, l’abbiamo anche perfezionato. È un diritto significativo come i tre giorni di permesso retribuito ai precari che è costato 74 milioni di euro”. Conferma che arriva anche da Fracassi che a ilfattoquotidiano.it dice: “Perché non ne abbiamo parlato? Ne daremo conto. L’abbiamo scritto proprio noi e ci teniamo. Non può essere assolutamente tolto dal contratto”. Sta di fatto che il governo di destra ha fatto (volontariamente o meno) qualcosa di sinistra, anzi, di Arcobaleno.

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