Come annunciato nei giorni scorsi il governo ha studiato un decreto ad hoc per rispondere agli allarmi delle procure dopo una sentenza della Cassazione che restringe la portata delle norme antimafia. Lo scorso settembre, infatti, la Prima sezione penale della Suprema Corte ha dichiarato illegittime le intercettazioni disposte secondo il regime più “largo” previsto per i “delitti di criminalità organizzata” – indizi di reato “sufficienti” anziché “gravi” e durata di quaranta giorni anziché 15 – nei confronti di un imputato che non era accusato direttamente di associazione mafiosa (articolo 416-bis del codice penale), ma “solo” di un reato ad aggravante mafiosa, cioè commesso al fine di agevolare l’organizzazione (articolo 416-bis.1). La decisione contraddice un precedente orientamento della Corte sullo stesso tema, tanto che la questione potrebbe essere a breve rimessa alle Sezioni unite (uno speciale collegio, composto da magistrati di tutte le sezioni, che risolve i contrasti interpretativi sulle norme). In quel caso, se l’ultima sentenza dovesse essere confermata, rischierebbero di saltare i processi in corso in cui le intercettazioni sono state disposte secondo il criterio valido in precedenza. In questo senso l’allarme è arrivato dalle Direzioni distrettuali antimafia e anche dalla Procura nazionale, guidata da Giovanni Melillo.

L’interpretazione di quel verdetto potrebbe metterle al rischio alcuni processi, lasciando impuniti delitti gravi di cui non emerge nettamente il collegamento con la criminalità organizzata. La premier Giorgia Meloni ha quindi annunciato, d’accordo con il ministro della Giustizia Carlo Nordio (in questi giorni nel mirino per la volontà di smantellare il reato di concorso esterno, ndr), un decreto legge interpretativo che faccia chiarezza al più presto. Parole che si aggiungono alle polemiche, mai sopite, sulla riforma della giustizia voluta proprio dal Guardasigilli e che sta per approdare al Senato, tra le tensioni con le toghe. Oltre alle fibrillazioni nella maggioranza, nonostante i toni bassi degli ultimi giorni e le iniziative della presidente del Consiglio per placare le acque.

Da qui l’apertura mostrata oggi dal suo partito – dal capogruppo alla Camera, Tommaso Foti – per un dialogo con i magistrati definito “indispensabile” alla riforma. Un’apertura tutta da definire e applicare, tenendo conto del freddo silenzio di Forza Italia e della Lega sul tema. Ancor di più oggi che il partito di Silvio Berlusconi si stringe, compatto, attorno a Marina Berlusconi che in una lettera al Giornale denuncia la persecuzione giudiziaria a suo padre, anche da morto. “L’obiettivo è la damnatio memoriae”, attacca. Insomma, la giustizia resta un nodo delicatissimo e spinoso per l’esecutivo Meloni. E la conferma politica della lotta alla mafia rappresenta un tassello importante nella partita che si sta giocando tra governo, maggioranza e opposizioni sulla riforma della giustizia. E il rischio di un colpo di spugna o un’attenuazione di reati gravissimi compiuti con modalità mafiose o per agevolare la ‘mafia’, dettato dalla sentenza 34895 di un anno fa, fa scattare la reazione del governo. A monte c’è l’interpretazione del concetto di criminalità organizzata, meno netta.

Ed è la premier a spiegarlo ai suoi, citazione dei giudici alla mano: “La Cassazione ha affermato che possono farsi rientrare ‘nella nozione di delitti di criminalità organizzata solo fattispecie criminose associative, comuni e non” – riferisce. E per essere ancor più efficace, fa un esempio: “Un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose, o commesso al fine di agevolare un’associazione criminale, non sarebbe un delitto di criminalità organizzata, secondo la Cassazione”. Resterebbe così fuori dal trattamento e dalle pene previste dall’articolo 416 bis cioè quello sull’associazione mafiosa, introdotta in Italia nel 1982. E anche se la sentenza riguarda il regime delle intercettazioni ambientali, introduce di fatto principi generali che – denuncia la leader – “si prestano a provocare ricadute molto pesanti per la pubblica sicurezza”, oltre a “effetti dirompenti su processi in corso per reati gravissimi”. Il rischio – è il ragionamento – è di delitti impuniti “per un supposto vizio procedurale” e Meloni aggiunge che “manifestazioni d’allarme iniziano già a pervenire da alcuni tribunali”. Da qui la necessità di un intervento correttivo con una norma che chiarisca una volta per tutte cosa debba intendersi per reati di criminalità organizzata. Un allarme che è emerso anche nel colloquio che la presidente del Consiglio ha avuto giovedì scorso con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, al Quirinale, dopo la riunione del Consiglio supremo di difesa. Un faccia a faccia nel corso del quale, si sottolinea in ambienti parlamentari, si sarebbe anche ragionato sulla possibilità di un dialogo con la magistratura sul tema della riforma Nordio per capire se esistano dei margini, nel corso dell’esame parlamentare del disegno di legge, per alcune modifiche al testo.

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