In Iran le esecuzioni di condanne a morte sono più che all’ordine del giorno (dall’inizio dell’anno al 13 luglio sono state circa 380) ma non è così frequente che le impiccagioni avvengano in pubblico.

Era già successo due volte quest’anno ed è successo ancora l’8 luglio. All’alba Mohammad Ramez Rashidi e Naeim Hashem Ghotali, di nazionalità afgana, sono stati messi a morte in un luogo pubblico della città di Shiraz.

Si è trattata dell’ennesima esecuzione al termine di processi irregolari, con minime possibilità di difesa e basati su “prove” frutto di dichiarazioni estorte mediante tortura, spesso trasmesse – come in questo caso – in televisione.

Il 15 febbraio Rashidi e Ghotali erano stati giudicati colpevoli di “corruzione sulla terra” e ribellione armata in relazione a un attentato compiuto il 26 ottobre 2022 presso il sepolcro di Shahcheragh, il terzo luogo sacro dell’Iran, dove sono sepolti i fratelli Ahmad e Muhammad, figli dell’imam sciita Musa al-Kazim.

Gli afgani sono il gruppo più ampio di non iraniani per numero di condanne a morte e di esecuzioni. Dal settembre 2021 ne sono stati impiccati 29. Sinistra coincidenza, le loro esecuzioni, così come i respingimenti, sono riprese subito dopo il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan.

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