È morto il vescovo Luigi Bettazzi, a tre mesi dal compimento dei suoi 100 anni, lucido fino all’ultimo istante, consapevole della sua morte, così come lo fu della sua vita, normale perché straordinaria. Non ci aspettavamo la sua morte, che nessun segno faceva presagire, ma attendavamo la sua nomina “gratulatoria” a cardinale della Chiesa cattolica come segno di alto riconoscimento del suo altissimo magistero nella Chiesa universale, specialmente sul versante della Pace che fu il suo orizzonte e la sua prospettiva, nel solco del vangelo, della Costituzione e della “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Paolo VI lo nominò vescovo nel 1963, che gli permise di partecipare alle ultime tre sessioni del concilio Vaticano II di cui era, fino a ieri, l’ultimo dei Padre conciliari.

Con la sua morte, il concilio di papa Giovanni entra nella storia, senza più testimoni. Entrando nella grande assemblea, prese la parola per proporre la beatificazione “per acclamazione” di papa Giovanni, il papa che ebbe l’umiltà coraggiosa di dichiarare la fine della teologia tradizione della “guerra giusta”, dichiarandola al contrario “roba da pazzi – alienum a ratione”. Curia e tradizionalisti di professione inorridirono, ma la proposta rimase agli atti. Da allora la “Pace” fu il suo orizzonte e il contesto del suo essere uomo, prete e vescovo.

Fu vescovo ausiliare del gigante del ‘900, il card. Giacomo Lercaro, genovese e perno rinnovatore del concilio, di cui fu Moderatore che in Bettazzi, suo fedele collaboratore fino al 1968, “Annus terribilis” sia per Lercaro, sia Bettazzi, trovò conforto e sostegno. Il 1° gennaio di quell’anno, dalla cattedra di San Petronio, il card. Lercaro, nella 1a Giornata Mondiale della Pace, istituita da Paolo VI, lesse il discorso, preparato da un altro gigante, anima silenziosa del concilio, Giuseppe Dossetti, in cui s’invitavano gli Stati Uniti a “ritirarsi unilateralmente dalla guerra del Vietnam”, ponendo così fine alla tragedia che da decenni insanguinava il mondo non per un atto di difesa, ma per una violenza di aggressione verso un Paese, il Vietnam del nord che non aveva aggredito alcuno. Fu il finimondo.

Protestarono gli Usa, insorse la Curia romana, più guerrafondaia dei guerrafondai professionisti, che costrinse Paolo VI, ormai consolidato “Papa-Amleto”, a “rimuovere” Lercaro da Vescovo di Bologna. Trame e guerriglie indecenti e immorali, sono testimoniate, oggi, dallo storico Alberto Melloni nel suo prezioso Rimozioni. Lercaro. 1968, il Mulino 2019, pp. 446.

Don Luigi Bettazzi fu separato da Lercaro e da Bologna esiliato a Ivrea, dove visse fino alla morte, fedele alla sua coscienza, al Popolo di Dio, alle Donne e agli Uomini del suo tempo, Presidente di “Pax Christi Internationalis”, propulsore e animatore di ogni iniziativa di Pace, punto di riferimento di quella Chiesa conciliare, minoritaria, ma determinata a non rassegnarsi. Formato alla scuola francese del “personalismo” di Emmanuel Mounier, di Jacques Maritain, Romano Guardini e altri, perseguiva l’obiettivo che non poteva esistere umanità senza il riconoscimento che le persone sono per natura libere e creatrici del loro destino, personale e collettivo. Anche Paolo ebbe la stessa formazione, anche se nella versione più titubante di François Mauriac.

In questi giorni di esaltazione “post mortem”, è un coro universale nel definire Padre Luigi Bettazzi “Uomo e Vescovo di Pace”, con una affermazione superficiale che non tiene contro della “specificità bettazziana”. Egli fu di più, molto di più perché prese alla lettera quel Vangelo che, con la Costituzione italiana, fu la sua mappa di vita e di pellegrinaggio nel mondo, consapevole che il prezzo che avrebbe pagato non avrebbe avuto alcuno sconto, come tutti noi siamo testimoni.

Nel titolo di questa mia brevissima riflessione, chiamo Padre Bettazzi “Poeta della Pace”, dove ‘poeta’ non ha alcuna attinenza con il romanticismo emotivo. Al contrario, essa è la traduzione letterale della 7a beatitudine evangelica di Mt 3,9 che in greco suona così: “makàiroi eirēnepoiòi” che la Bibbia-Cei (2008) traduce asfitticamente con “beati i pacificatori” che sono più mediatori, sensali, persone di compromesso al ribasso. La parola greca “eirēnepoiòi” è composta da “eirênē – pace” e dal verbo “poiéō – faccio creo/invento/progetto/disegno/invento…”. Se vogliamo rendere alla lettera il termine greco, in forma sintetica, siamo costretti a prendere il vocabolo italiano “Poetà”, specificando che egli non è un romantico, ma un artigiano che inventa la “Pace”, la disegna, la dipinge, la sogna, la modella come fa il vasaio con la creta, la progetta come si fa con una costruzione che deve avere le basi e tutte le strutture necessarie a realizzare l’idea di partenza.

Essere “Poeti della Pace”, come fu Padre Bettazzi, è ben più che invocare la fine della guerra in nome della vittoria, ma è la visione che sa superare la violenza di chi pone la propria vita come prezzo necessario per un progetto di relazioni umani tra le persone e tra i popoli. In questo modo, non si arriva mai alla guerra dei mercanti di armi, perché ogni difficoltà o problema si affronta con la forza delle parole di verità che nasce da senso di rispetto che si ha della persona fisica dell’altro, considerato sempre la parte migliore di sé.

Se si fosse dato ascolto ai “Poeti della Pace”, la guerra in Ucraina non sarebbe mai cominciata. L’aggressione proditoria della fallimentare megalomania di Putin sarebbe stata sgonfiata non inviando armi, ma negandogli un nemico, sostituito dal corpo e dal cuore di milioni donne e uomini, che si sarebbero interposti tra i carri armati e la popolazione inerme. Padre Bettazzi e papa Francesco sarebbero stati in prima fila, disarmati e forti, fragili e resistenti. Credenti e laici, tutti uniti a lanciare la Pace oltre il sogno della profezia piantata sulla terra, seminando l’Utopia che la “pazzia della guerra” non sarà mai una soluzione, ma solo i Poeti e Mistici alla Bettazzi possono segnare il sentiero che trasforma le armi in falci e i missili in aratri. Solo chi osa l’impossibile e agisce oltre ogni ovvietà, saprà cogliere i frutti della Pace condizione obbligata, pena la catastrofe mondiale.

Bettazzi pagò per la sua coerenza, ma non recriminò, alimentando sempre la lampada che nessuno mai spegnerà.

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