“Ha detto mio marito: stop… appena esco ci penso io”: è questo il messaggio riferito da Rita Massa, moglie di Ivano Parrino. Detenuto dopo una serie di condanne per estorsione, associazione mafiosa e spaccio, Parrino dava ordine dal carcere attraverso la moglie. Uno “stop”, in questo caso, per dire di stare tutti fermi dopo l’omicidio di Giuseppe Incontrera, marito della sorella di Massa, avvenuto il 30 giugno del 2022. Parrino dal carcere dà, infatti, l’ordine di non vendicare l’assassinio del cognato, ci penserà lui, una volta uscito, mentre nel frattempo bisognerà fare allontanare i familiari di Salvatore Fernandez, autore dell’omicidio, per evitare ripercussioni da parte dei famigliari di Incontrera. Così Parrino da detenuto continuava a dare ordini. Aveva, d’altronde, a disposizione un cellulare, nonostante la detenzione. E chiamava spesso a casa, anche per essere aggiornato sul mantenimento della famiglia, ora che lui era detenuto.

Ed è questo uno dei punti focali dell’operazione Vincolo, l’esito delle indagini del nucleo investigativo dei Carabinieri di Palermo, coordinati dalla procura guidata da Maurizio De Lucia. Per la prima volta, infatti, viene contestato il reato di ricettazione, cioè di avere accettato denaro proveniente da attività illecite. Un reato contestato, quindi, ai familiari. Pochi soldi, perché in alcune occasioni l’attività di spaccio non andava sempre bene e il mantenimento delle famiglie dei detenuti ne risentiva: “Giusè… non ti dimenticare a fargli ricordare a Vassoio (alias per Giuseppe Autieri, detentore della cassa per i detenuti, ndr)… per la fine del mese… no, perché a casa… a casa i problemi ci sono…”. Così Parrino si rivolgeva al cognato, il quale, fino alla morte, si era occupato del sostentamento: “Stai tranquillo… stai tranquillissimo… tu… tu devi dormire tranquillo cognato…”, rispondeva Incontrera.

Ma Parrino era preoccupato: “Ieri ho parlato con mia moglie… mi senti?… e parlando con te mille lire dentro non le ha… no… questo negozio di frutta e verdura cammina? Com’è combinato?”. “Ma che cammina, Ivà” rispondeva il cognato. E continuava: “Faccio duecento euro al giorno… centottanta… due e venti… due e cinquanta… deve morire Rosa e i bambini se non è vero… comunque è finita Ivà… io di tutto quello che ho fatto con tua moglie… è stata una cosa onesta… perché di là non gliele ho dato mai… mai ha che non gliene do… che me lo sono dimenticato … stai tranquillo… sto con duecento euro e gliene do due e cinquanta… non mi interessa…”. La situazione finiva per sbloccarsi, e così Rita riportava al marito: “Mi ha dato duecento euro… ho fatto questi… e tutti quelli che fai ogni giorno?”. “Meglio di niente”, rispondeva Parrino dal carcere. Una detenzione che non gli impediva, dunque, di impartire ordine, di ricevere proventi delle attività del mandamento e di avere vantaggi dalle estorsioni: perfino aveva goduto di lavori di ristrutturazione in casa, fatti a titolo completamente gratuito, realizzati da un imprenditore edile che era stato oggetto di estorsione e dopo qualche iniziale difficoltà si era “messo a trecentosessanta gradi”, come riferiva Incontrera a Parrino. Mentre un altro esponente del sodalizio, Masino Lo Presti, detto U longu, faceva arrivare a casa del boss una “guantiera (vassoio, ndr) di dolci”, un gesto che sottolineava la considerazione di U longu nei confronti del boss detenuto.

Regali, agevolazioni, ordini e sostentamento, la dura vita del carcere degli affiliati al clan è emersa dalle indagini che oggi hanno portato all’arresto di 7 persone, di cui, alcuni, già arrestati in precedenti operazioni della Procura di Palermo, mentre per 11 è scattato l’obbligo di firma e per due quello di dimora. Un’indagine che ha svelato le dinamiche di “una storica articolazione locale di Cosa Nostra radicata nel territorio della città di Palermo (il mandamento di Porta Nuova; la famiglia mafiosa di Palermo Centro) la cui ininterrotta operatività è dimostrata dalle sentenze e dagli altri provvedimenti giudiziari”, scrive il gip Filippo Serio, che lo definisce “uno dei mandamenti più pericolosi (come è emerso) operanti nella città di Palermo”. Fulcro della attività criminali era il commercio di droga, l’estorsione di commercianti e imprenditori e il controllo delle scommesse clandestine, nel centro di Palermo.

Attività illecite che erano il cuore economico anche nei quartieri della Vucciria e del Capo, dove si trovano due dei più importanti mercati della città. Fondamentale il ruolo delle intercettazioni, grazie alle quali si è scoperta la gestione dal carcere di Parrino, ma anche come a dirigere tutto ci fosse Francesco Mulè, interno alla famiglia mafiosa di Palermo centro: “Grazie alle intercettazioni è emerso con chiarezza – scrive il gp – che Mulé aveva un ruolo sovraordinato gerarchicamente nei confronti degli altri associati, tanto che lo stesso indagato era destinatario delle lamentele per il comportamento degli altri sodali, tra questi, Gaetano Badalamenti”. “Tu lo sai dov’è il fratello di Giovannuzzo, gli dai 750 euro…”, così Mulè dava indicazioni a Giuseppe Mangiaracina di dare soldi a Salvatore Castello, fratello di Giovanni Castello, detenuto fino al marzo del 2022. Per questo il gip ha disposto il sequestro preventivo di 1500 euro nei confronti di Salvatore Castello e 200 euro nei confronti di Rita Massa, per entrambi è scattato anche l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (assieme ad altri 9). Coinvolto anche Salvatore Incontrera, figlio di Giuseppe, che “agiva a fianco del padre e lo ha coadiuvato nella gestione della piazza di spaccio di competenze, nonché nel coordinamento e nella direzione dei traffici di droga nell’intero mandamento”.

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