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L’ultimo salvataggio dell’Ilva firmato da Fitto: scudo penale esteso, museruola al sindaco di Taranto e impianti accesi anche se confiscati

Il governo Meloni ha apparecchiato un nuovo allargamento dei cordoni attorno all’ex Ilva con una serie di norme, firmate dal ministro per l’attuazione del Pnrr Raffaele Fitto. Il testo presentato dall’ex presidente della Regione Puglia con un blitz lunedì pomeriggio si incrocia con la sempre più probabile uscita dell’acciaieria di Taranto dal perimetro dei progetti del Pnrr, in favore del Fondo sviluppo e coesione, che dovrebbe portare alla decarbonizzazione. Condizione d’obbligo, perché di fronte a queste manovre le opposizioni accusano il governo di “mettere a rischio” l’ambientalizzazione del siderurgico e di “gettare la maschera” su quale futuro è intenzionato a dare allo stabilimento siderurgico, sequestrato ormai da 11 anni.

Ed è anche sui sigilli all’area a caldo che si muove Fitto con una mossa che mette al riparo dalla possibile confisca definitiva in caso di conferma fino al terzo grado della sentenza Ambiente Svenduto, il maxi processo alla gestione Riva. Non si tratta però dell’unica novità contenuta in un emendamento al decreto Infrazioni firmato dal ministro per il Pnrr che accentra i poteri sul futuro degli impianti nelle mani della Presidenza del Consiglio, esautorando il ruolo di Adolfo Urso, e allo stesso tempo limita il raggio d’azione del sindaco di Taranto che avrà minori spazi per adottare ordinanze nei confronti del gestore Acciaierie d’Italia, joint venture di ArcelorMittal e della statale Invitalia, se dovessero verificarsi problemi di natura ambientale. Un modo per silenziare il Comune che a più riprese – l’ultima due mesi fa – ha intimato di ridurre le emissioni nocive.

Il testo dell’emendamento ha la volontà dichiarata di chiudere le infrazioni europee sullo stabilimento, ma si spinge molto oltre. Innanzitutto i progetti per la decarbonizzazione passano dal ministero delle Imprese e del Made in Italy alla Presidenza del Consiglio. Insomma, Urso viene messo all’angolo: a occuparsene sarà direttamente la struttura che fa capo a Palazzo Chigi. Il sottotesto è che nella battaglia tra l’ad di Acciaierie d’Italia Lucia Morselli e il presidente in quota Invitalia, Franco Bernabè, vince la prima. Come dimostra la maggior voce attribuita ad ArcelorMittal – di cui Morselli è espressione – nella presentazione dei progetti per l’ammodernamento. E il via libera arriverà non dipenderà più da Urso. Non solo: Fitto mette la firma sull’estensione dello scudo penale anche per le opere che dovranno portare alla decarbonizzazione, tema che ha fatto subito infuriare il Pd e Alleanza Verdi-Sinistra, critici anche per il ritrovato ruolo del socio privato nel processo di ambientalizzazione.

Sempre sotto il profilo delle beghe giudiziarie dell’impianto, l’emendamento prevede che nel caso in cui la confisca degli impianti disposta dalla Corte d’Assise di Taranto al termine del processo di primo grado – nato dall’inchiesta Ambiente Svenduto – diventasse definitiva, l’impianto avrebbe una sorta di salvacondotto e potrà continuare a produrre. Una clausola, quest’ultima, che scioglie il principale dei lacci e lacciuoli sul futuro dell’ex Ilva e ‘accontenta’ ArcelorMittal. La multinazionale, nel corso degli anni, a più riprese, ha giudicato la possibilità di una confisca definitiva come una spada di Damocle sugli investimenti.

Allo stesso tempo il governo silenzia le prese di posizione del Comune di Taranto, limitando i poteri del sindaco, massima autorità sanitaria sul territorio, nell’adozione delle ordinanze. Potrà intervenire solo se sussistono “situazioni di pericolo” che esulano “lo svolgimento dell’attività produttiva” per come è regolamentata dall’Autorizzazione integrata ambientale. Una museruola a Rinaldo Melucci, primo cittadino dem, che ancora una volta lo scorso 22 maggio era tornato a intimare il fermo dell’area a caldo in mancanza di interventi per ridurre le emissioni di benzene. Una serie di colpi di mano, firmati dall’ex presidente della Regione dove l’acciaieria opera, che cancella in quattro pagine le rassicurazioni di Urso sull’accordo di programma con gli enti locali e, come avvisa il sindaco di Taranto, “riporta indietro le lancette del tempo”. La decarbonizzazione ora è un po’ più lontana.