Oggi è veramente una giornata triste per la cultura italiana.

Andrea Purgatori, uomo “larger than life”, autore poliedrico, sceneggiatore, romanziere, saggista e punto di riferimento esemplare per tutti i giornalisti d’inchiesta in Italia e non solo, è morto ad appena settant’anni, in seguito a una malattia, come si dice in questi casi, breve e fulminante.

Il grande pubblico lo ha conosciuto per i grandi successi televisivi, come negli ultimi anni Atlantide su La7 (sorta di appassionata enciclopedia giornalistica dei grandi misteri del Dopoguerra italiano), o ancor più recentemente il grande clamore internazionale destato dalla docu-serie Netflix Vatican Girl, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi; ma la carriera di Purgatori è principalmente legata alle sue grandi inchieste, come quella dedicata al caso di Ustica, sul quale scrisse prima il romanzo e poi trasse la sceneggiatura di un film importante come Il muro di gomma, diretto da Marco Risi nel 1991.

Andrea Purgatori non era solo lo scrittore coraggioso, il narratore esperto dalla voce splendida e i tempi perfetti, il giornalista vecchio stile che aveva il dono di essere sempre al punto giusto nel momento giusto (la sua carriera è costellata di aneddoti memorabili e inquietanti, come il dettaglio di aver incontrato e salutato il collega Mino Pecorelli pochi secondi prima della sua morte); non scordiamo il suo dono del suo umorismo raffinato: è stato brillante collaboratore e autore per Corrado Guzzanti in alcuni dei vertici geniali della satira italiana, quali Il Caso Scafroglia, Fascisti su Marte e le vette inarrivabili di Aniene con i personaggi indimenticabili del massone napoletano, l’anziano Licio Gelli e il cinico prelato Don Pizzarro.

La straordinaria competenza di Purgatori unita al genio surreale di Guzzanti sono stati il connubio perfetto per restituire satiricamente le pagine più nere e misteriose di un paese politicamente incredibile come il nostro.

Come tutte le persone dotate di sottile intelligenza, Purgatori aveva discernimento e senso del contesto, quindi sapeva affrontare con serietà temi gravissimi e cruenti come Ustica, il Caso Moro o il Mostro di Firenze, ma aveva sempre il dono di un’ironia elegante che redimeva ogni pesantezza e che, soprattutto, imponeva di non prendersi troppo sul serio (pensiamo anche alle comparsate in Boris e nei film di Carlo Verdone).

Scherzando affettuosamente, direi che (per intelligenza, coraggio e amabile umorismo) era una sorta di Fox Mulder all’amatriciana, ovvero l’agente F.B.I. interpretato da David Duchovny nella serie X-Files, formidabile dal punto di vista della memoria e della competenza tecnica, ossessionato dalla missione di svelare i complotti governativi, aperto a ogni possibilità e lettura “alternativa”, ma al contempo perennemente giocoso e infantile: detto da me, che amo sia la serie culto degli anni 80 che i piatti classici della cucina romana, vi prego di intenderlo come un grande complimento.

Roma è, da anni, una città invivibile, dove spostarsi è sostanzialmente impossibile, i treni urbani vengono soppressi all’improvviso e la metro funziona a caso; una delle poche motivazioni superstiti per cui è bello viverci è in aneddoti come quello che vi sto per raccontare: ho avuto la fortuna, alcuni mesi fa, di incontrare Andrea Purgatori, per caso, durante una visita alla Libreria Borri di Termini, dove stava presentando un libro. Mi presentai con la solita faccia tosta e l’entusiasmo di un vero fan: Andrea non fu per nulla infastidito ma, una volta scoperti i miei interessi e il nostro essere, in qualche modo, colleghi, ne fu contento, si trattenne molto volentieri, lasciandomi anche i contatti per risentirci.

Dico questo non per vantare chissà quale, inesistente, confidenza, ma per sottolineare la sua immediata disponibilità con uno sconosciuto. Mi fece la stessa impressione che anni fa mi lasciò l’incontro con Francesco Guccini: proprio come lui Purgatori si rivelò una persona di rara affabilità, simpaticissimo, umile, che “non se la tirava per niente”. L’umiltà e la gentilezza tipica dei grandi.

Il pensiero adesso va anche a Pietro Orlandi, che ha perso l’unico alleato leale in quarant’anni di ricerca della verità sulla scomparsa della sorella Emanuela. Di Andrea Purgatori, oltre la commozione e la gratitudine, ci rimangono le tante testimonianze della sua intelligenza, del suo coraggio, della sua voglia di collegare i frammenti ritrovati di verità sepolte, occultate, distorte.

Speriamo che qualcuno raccolga il testimone.

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