In provincia di Arezzo, al confine con l’Emilia-Romagna e le Marche, come ad un segnale convenuto si sono moltiplicate le richieste di installazione di impianti eolici industriali (non chiamiamoli parchi!). Dopo la realizzazione a Montemignaio del primo impianto toscano nel lontano 2001 con tre pale eoliche alte circa 60 metri, vent’anni dopo viene approvata dalla Regione la realizzazione di una pala eolica alta circa cento metri in località Poggio dei Prati a Badia Tedalda; ultimata nel 2022, a parecchi mesi di distanza, a quanto ci risulta non è ancora entrata in funzione. Poi, nel giro di pochi mesi, nel 2023 ben nove progetti sono stati presentati nell’area compresa tra l’alta Valtiberina e la Valmarecchia, territorio corrispondente allo storico Montefeltro.

Tre pale sono già state approvate a Poggio dell’Aquila ma sono in fase di progetto altri 48 aerogeneratori: due impianti a Poggio delle Campane (uno da sei e uno da otto pale), uno a Poggio Tre Vescovi da 11 pale, il progetto “Badia del vento” da sette turbine, altre sette al Passo del Frassineto, le ultime nove – come la maggior parte delle altre – sui crinali del territorio di Badia Tedalda, comprese in un progetto denominato “Badia wind”. Un fuoco incrociato di aerogeneratori con altezze comprese tra i 180 e i 200 metri di altezza, in molti casi in interferenza l’uno con l’altro, dove il vento non è affatto garantito.

Negli anni precedenti altri progetti erano stati presentati, tutti bocciati per le conseguenze non mitigabili sulla sicurezza del territorio (siamo in un’area sismica e ad altissima fragilità idrogeologica, ciò che determina continue frane e dissesti), sul paesaggio di grande pregio, nonché sull’avifauna, per la presenza di diverse specie protette o in via di estinzione. Ora evidentemente qualcuno ha spalancato le porte ed è la transizione ecologica, bellezza. Il sindaco di Badia Tedalda dice: “le ditte portano avanti questi nuovi progetti concertandoli insieme all’amministrazione comunale. Questo è un punto a favore, perché anziché subire imposizioni dall’esterno possiamo confrontarci e valutare pro e contro, posizionamenti, criticità geologiche, zone a vincolo, arrivando a un progetto condiviso”.

Lo stesso sindaco illustra le ricadute positive: “Con opere come queste è vero che modificheremo dei crinali, ma ci sarà per alcuni anni un indotto di lavori di tutti i generi che, come già successo per il metanodotto, ripopoleranno e faranno lavorare le varie attività, e poi continueranno anche dopo con le costanti manutenzioni di queste opere. Si avrà un effetto rivitalizzante”. In regioni come il Molise e la Basilicata, invase dalle pale eoliche, questo effetto rivitalizzante purtroppo non si è visto.

Torri eoliche alte come un grattacielo di oltre 60 piani poste sui crinali sono evidentemente visibili da lontano e incidono sul paesaggio. Non tutti apprezzano lo skyline di quelle che qualche ambientalista buontempone ha definito “le nuove cattedrali”, dove il nuovo culto è il progresso whatever it takes. Il sindaco di Casteldelci, comune confinante in territorio romagnolo, si è così espresso: “Per noi è inaccettabile, sarebbe devastante per l’economia del nostro territorio (…) Fare impianti di questa portata in quelle aree causerà dei danni enormi sia al mio comune, ma anche all’intera Valmarecchia (…) oltre a non essere condiviso dal territorio, è proprio in aree che danneggiano ampiamente i nostri centri storici e soprattutto gli investitori che in questi anni hanno acquistato strutture per farne alberghi”.

Se è vero che esistono questioni a carattere nazionale come la produzione energetica, la riduzione dell’utilizzo di fonti fossili e lo sviluppo delle energie alternative, è altrettanto vero che non tutti i territori si prestano a uno sfruttamento delle risorse naturali con un rapporto costi/benefici favorevole. Se vogliamo dare all’ambiente naturale un valore, se vogliamo trasformare questo valore in una risorsa economica concreta legata alla valorizzazione delle ricchezze già presenti sul territorio, dobbiamo riconoscere queste ricchezze senza cancellarle ma anzi mettendole in evidenza.

In generale la montagna italiana soffre non solo di spopolamento, ma di sottovalutazione; dare un valore al paesaggio identitario, ai musei a cielo aperto, ai percorsi escursionistici di qualità significa dire “venite a vedere cosa si può fare in questo territorio” e gettare le basi per una progettazione del domani. Questo vorremmo per le nostre montagne e per chi le abita.

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